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13 Gennaio 2022 - 18:31
Foto di Carmelo Condorelli / Archivio Storico "La Sicilia"
La prima scossa forte venne avvertita che era ora di pranzo, alle 13.30 del 14 gennaio 1968. Per tutta la giornata ne seguirono altre fino alle cinque del pomeriggio. La gente del Belice andò a dormire con un occhio solo chiuso, spaventata ma fiduciosa: forse era tutto finito.
Del resto la terza scossa, quella delle 16.48, aveva già colpito duro causando danni gravi a Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa e Vita.
Ruderi ancora in piedi oggi, nel vecchio e abbandonato abitato di Poggioreale
Nella notte, invece, alle ore 2:33 del 15 gennaio, una scossa molto violenta causò altri gravissimi danni e venne sentita fino all'isola di Pantelleria. Ma la più forte si verificò poco dopo, alle ore 3:01: fu quella che causò la maggiore devastazione. E già si capiva che il bilancio sarebbe stato tra i più tragici, con centinaia di morti e migliaia di feriti, interi paesi rasi al suolo. Gente che aveva perso ogni cosa si aggirava tra le macerie, nemmeno consapevole di avere conservato la vita.
Per approfondire leggi anche: la pagina del Dipartimento della Protezione civile dedicata al terremoto del1968: anche 10 soccorritori persero la vita
Le rovine di Salaparuta vecchia ancora visibili lungo la strada provinciale
Tra i 14 centri colpiti dal sisma vi furono paesi che rimasero completamente distrutti: Gibellina, Poggioreale, Salaparuta e Montevago. I paesi di Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa, Partanna e Salemi ebbero dall'80 al 70% di edifici distrutti o danneggiati gravemente. Altri paesi che hanno subito danni ingenti sono: Calatafimi Segesta, Camporeale, Castellammare del Golfo, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Menfi, Sambuca di Sicilia, Sciacca, Vita.
Non è chiaro nemmeno oggi quante furono esattamente le vittime, che sono stimate tra le 230 e le 370. Il quotidiano Il Giornale di Sicilia, foto sotto, ne calcolava 400, a poche ore dal disastro, nell'edizione del 16 gennaio 1968, parlando di un "agghiacciante bilancio".
LO SCANDALO
Il terremoto del Belice è tra quelli che hanno causato più vittime e danni e che ha avuto un processo di ricostruzione lungo e travagliato, durato decenni e costellato da corruzione e ostacoli burocratici. A distanza di oltre 50 anni dall'evento, nonostante le faraoniche opere realizzate e l'enorme dispendio di fondi pubblici, i danni inferti dal terremoto non possono dirsi ancora completamente sanati.
Un mese dopo il sisma, nella provincia di Trapani 9.000 senza tetto erano ricoverati in edifici pubblici, 6.000 in tendopoli, 3.200 in tende sparse e 5.000 in carri ferroviari, mentre 10.000 persone erano emigrate in altre province. Gli abitanti vissero per mesi nelle tendopoli e poi per anni nelle baraccopoli. Nel 1973 i baraccati erano 48.182, nel 1976 erano ancora 47.000[6]. Le ultime 250 baracche con i tetti in eternit furono smontate solo nel 2006.
La Valle del Belice è la valle, prevalentemente collinare, costituita dal bacino idrografico entro il quale si estende il corso del fiume Belìce. Si trova nella Sicilia occidentale e occupa un'area compresa tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento, ricca di coltivazioni e di zone archeologiche (su tutte quella di Selinunte).
Per approfondire leggi anche: una guida per un viaggio nella valle del Belice
Nella cartina la zona interressata in modo più diretto dal terremoto del 1968
Il drammatico servizio realizzato pochi giorni dopo il sisma da Sergio Zavoli per il Telegiornale
IL J'ACCUSE DI DANILO DOLCI, LA VOCE DEL POVERO CRISTO (1970)
Il sociologo Danilo Dolci si occupò per diversi anni di quella zona della Sicilia, anche prima del terremoto. Al marzo 1964 risale l'occupazione della piazza del municipio di Roccamena per sollecitare la costruzione della diga sul Belice. Su quell'evento fu girato un documentario muto, realizzato dalla casa di produzione Unitelefilm.
Dopo il terremoto, Dolci registrò nel 1970 un disperato messaggio di SoS attraverso la prima radio libera d'Italia, Radio Partinico Libera: «Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale, attraverso la radio della nuova resistenza, qui si marcisce di chiacchiere e di ingiustizie, la Sicilia muore».
Qui sotto il testo integrale del messaggio radio di Danilo Dolci
Pertini in Irpinia nel 1980 (foto Ansa)
Dopo il terremoto in Irpinia del 1980, l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini espresse tutta la sua indignazione per il ritardo nei soccorsi e ricordò, proprio facendo l'esempio del Belice, come in Italia fosse consuetudine speculare sulle disgrazie. «Venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini - disse Pertini - a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere?»
IL 54ESIMO ANNIVERSARIO
Polemiche ci sono state in questi giorni, in occasione del 54 esimo anniversario del terremoto: i sindaci della zona, in segno di protesta per il mancato stanziamento di fondi per il completamento della ricostruzione hanno cancellato ogni cerimonia di commemorazione.
Per approfondire leggi anche: il terremoto raccontato dal fotoreporter Carmelo Condorelli per il quotidiano La Sicilia. "Anche le pietre emanavano dolore".
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