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Quando eravamo una città all'avanguardia

Il "caso mense" sta proiettando all'esterno una immagine di Vigevano che non corrisponde alla sua storia. A quella storia in particolare di beneficenza, solidarietà, altruismo che - soprattutto nel corso del XIX secolo - era all'avanguardia in Italia. I b

14 Aprile 2013 - 19:29

Quella che oggi chiamiamo rete assistenziale, Vigevano fu una delle prime città ad attuarla. La Congregazione della Carità nacque nel 1768 e ben presto si organizzò come struttura gestionale e amministrativa per gli ospedali cittadini e le strutture allora esistenti per assistere poveri, orfani, bambini poveri. Gli amministratori erano il Vescovo, l'allora Sindaco, il Pretore e i rappresentanti delle famiglie dei benefattori. È di alcuni di questi che qui ci occupiamo, i cui volti sono ritratti in quello splendido spazio della carità e della beneficenza (purtroppo non facilmente visitabile) che è la Quadreria dell'Ospedale Civile.

Vincenzo Deomini istituì ancora in vita un'opera pia a lui intitolata che, una volta trovata sistemazione presso l'Orfanotrofio Merula (aperto nel 1809), venne inaugurata il 17 novembre 1833, ospitando da subito 150 fanciulli. Furono quelle le prime scuole elementari pensate per i bambini poveri. Nel 1840, grazie ai redditi di questa istituzione, vennero invece aperti nei locali dell'Ospedale le prime scuole infantili della nostra città, in grado di ospitare i bambini da tre a sei anni e anche quelli da sette a dieci. Il Comune vi aggiunse a sue spese, altre scuole elementari. A visitare e ad ammirare quella struttura all'allora all'avanguardia in Italia, venne addirittura Ferrante Aporti, sacerdote e grande innovatore in campo educativo che, solo dieci anni prima nel 1830, aveva dato vita a Cremona alla prima scuola infantile gratuita. Incredibile, vero? Val la pena, per capire le differenze con l'oggi, riportare l'articolo 4 capitolo secondo dello Statuto dell'Opera Pia Deomini: "Nell'asilo è vietata ogni diversità di trattamento tra bambini". A partire dal 1878, a seguito di accordi con il Comune, l'opera Pia Deomini aprì quattro scuole maschili e quattro femminili per la puerizia che mantenne fino al 1889. Da quell'anno le scuole passarono al Comune e l'opera Pia Deomini divenne solo un asilo infantile.

Andrea Mercalli, imprenditore tessile, nel suo testamento datato 24 agosto 1868 stabiliva che tutte le rendite dei suoi beni fossero destinati alla fondazione di un istituto per accogliervi - specificava - "durante il tempo delle filande poveri bimbi d'ambo i sessi non lattanti e fino all'età di quattro anni, di buon mattino fino al cadere del sole, somministrando loro minestra, pane ed istruzione". Qui siamo in presenza di una filantropia privata che interviene su un problema sociale allora ben radicato, non aspetta l'intervento del pubblico e se ne fa carico. Incredibile a pensarci, oggi... L'istituto venne aperto nel 1880 presso l'Orfanotrofio Merula, e rimaneva aperto solo nei giorni feriali e nel periodo compreso dal 1 maggio alla fine di ottobre. Di storie di benefattori, non solo con risorse ma primariamente con idee e con un progetto preciso di intervento per i più poveri, ce ne sono molte altre nella nostra storia. Ed è bene che siano conosciute e studiate, perchèn hanno ancora molto da insegnare alla Vigevano d'oggi.

Personaggio sicuramente conosciuto è donna Francesca Manara Negrone, in quanto l'istituto voluto dal marito è una presenza ancora ben attiva in città. Nativa di Albonese, nel 1831 fu promessa sposa in giovane età a Giovanni Battista Negrone, allora noto imprenditore nel settore della seta. La sua fu una vita segnata dalla morte prematura di due figlie e anche la terza Maria (andata in sposa al conte Santorre de Rossi di Santorosa) morì giovane. Alla morte del marito, donna Francesca curò le disposizioni testamentarie dallo stesso volute, che vincolavano i cospicui redditi famigliari alla costruzione di un Istituto di Educazione maschile, l'ancora oggi attivo Istituto Negrone. I lavori iniziati nel 1905 si conclusero nel 1907. Donna Francesca scelse la carità e la beneficenza come missione della sua vita con una cura che la portò, già ammalata, il 2 marzo 1908 a dettare un testamento segreto. Alla sua morte, avvenuta il 10 agosto successivo, si apprese che quattro cascine di proprietà - tra cui udite bene la Mascherona in Vigevano - venivano cedute all'amministrazione dell'allora Ospedale degli Infermi per la costruzione nella nuova sede ospedaliera (di cui si cominciava a parlare) di due padiglioni. Uno dei quali doveva espressamente e soltanto essere destinato a ricoverare e curare gratuitamente "i ragazzi poveri del comune di Vigevano", l'altro destinato alla maternità. Una clausola rigorosa era che il primo padiglione dovesse necessariamente portare "il nome di mia figlia Maria Negrone contessa di Santarosa", mentre sul secondo donna Francesca si rimetteva alla volontà degli esecutori testamentari. Il secondo padiglione le venne, naturalmente, intestato.
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