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"Monforte della palude": il sindaco Ratti lancia l'idea di un villaggio medioevale

Ad accompagnare il progetto c'è un romanzo storico. Pubblichiamo in anteprima il primo capitolo

30 Gennaio 2018 - 21:30

"Monforte della palude": il sindaco Ratti lancia l'idea di un villaggio medioevale

Un villaggio della seconda metà dell’XI secolo, costruito utilizzando tecniche dell’epoca, con annessa una fattoria medievale. È il progetto di "Monforte della palude", presentato dal sindaco Francesco Ratti. «Lo scopo non è di fare un castello “nuovo” – racconta il primo cittadino di Gravellona – ma un cantiere che duri anni» e che diventi un'attrazione turistica per il paese. L'idea sarà lanciata anche attraverso la pubblicazione di un romanzo storico, che permetterà ai visitatori di immergersi nelle atmosfere del villaggio medioevale.

L'articolo completo sul numero de L'Informatore Vigevanese in edicola giovedì 1 febbraio

Ecco, in anteprima, il primo capitolo del romanzo

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Anno 1028

Un uomo seminudo scivola lungo il torrente. Ha un coltello infilato in una cintura di salice. Al collo una corda regge una piccola croce: due pezzi di ramo incrociati. Una veste stracciata e fradicia di acqua gli copre appena il tronco. Si lascia trascinare dalla corrente. Quando sente voci umane o vede tracce di sentieri si nasconde nella boscaglia e aspetta la notte.  
Magro, barba e capelli lunghi d’un biondo rossiccio, arruffati. Lo sporco copre ferite vecchie e nuove su una pelle bianca, così chiara rispetto alle pelli dei contadini cotte dal sole. Lo sguardo scintilla da due occhi azzurri.
Le more che sporgono sull’acqua limpida e fredda, troppo fredda per il suo corpo stremato, e qualche pesce così disattento da farsi prendere e mangiare crudo sono il suo unico cibo.
Pietro da Monforte ora non è più il chierico colto, consigliere dei conti, beniamino della contessa Berta, al cui figliolo faceva da precettore, ma un possibile cibo per lupi.
Ormai è così lontano che i soldati dell’arcivescovo non possono più raggiungerlo e ha da temere solo i lupi e le insidie della foresta straniera.
Ai polsi ha i segni delle corde con cui era legato assieme a tutti i suoi compaesani prigionieri: triste carovana di uomini donne e bambini che hanno lasciato il paese distrutto e bruciato e sono trascinati verso Milano.
Eretici!
Ma quale eresia può scuotere Alrico vescovo di Asti e il potentissimo Ariberto arcivescovo di Milano, al punto di accanirsi con i loro eserciti contro un piccolo borgo, uccidere quanti potevano, demolire il castello della buona contessa, loro che dicendo di onorare Dio gozzovigliano con le concubine e vendono cariche e sacramenti?
Che eresie possono avere dei villani che non sanno neanche leggere e lavorano dall’alba al tramonto e a sera cadono sfiniti nella loro capanna?
Pietro però lo sa.
Lui parla e scrive in latino, in volgare, in provenzale e parla anche la lingua tedesca, la lingua dell’imperatore e dei suoi sgherri.
E’ predicare la comunione dei beni il crimine grave di Monforte d’Alba, crimine che ha scomodato il potentissimo arcivescovo Ariberto d’Intimiano signore di Milano e quasi re di mezza Italia, che siede alla destra dell’Imperatore da lui stesso incoronato a Milano.
Che ne sarà di loro quando il Vescovo, ora impegnato con l’imperatore, tornerà a Milano?
A piedi i prigionieri hanno passato Torino, poi Vercelli, poi Novara.
Una scarsa minestra alla sera servita da soldati sgarbati, tanta fame e stanchezza.
Ma nelle prigioni buie del castello di Novara, Pietro ha avuto fortuna. Al bagliore delle torce aveva visto in un angolo un coltello caduto dalla cinta di una guardia. Si era messo a parlare con lui in tedesco. La guardia era rimasta sorpresa di sentir parlare la propria lingua e non aveva fatto caso che il prigioniero, in apparenza inginocchiato per la spossatezza, s’era infilato qualcosa sotto la veste.
Il giorno successivo, in marcia verso Milano, poco fuori dalla porta orientale di Novara ecco un torrente. Le acque sono ingrossate da recenti temporali.
Un attimo. Taglia le corde col coltello e si butta nella corrente. I soldati, appesantiti dalle armature, non possono inseguirlo.
“Morirà affogato e ci sarà un eretico in meno da processare!”
“All’inferno! E’già una fatica trascinare questa carovana con vecchi e bambini che gemono. Meno male che ci sono le donne con cui sollazzarsi alla sera.”
“Uno in meno da portare a Milano!”
È passato un mese.
Si è fatto un bastone di legno duro. Da un lato ha una punta affilata e dall’altro una biforcazione, pure affilata. Non lo lascia mai. Gli serve per infilzare qualche pesce e per difendersi dai grossi animali. Non ci sono solo lupi ma anche cinghiali, cervi, volpi…  Alla sera si fa una tana di rami spezzati. Notti senza sonno: fame e pericoli. La luna è tornata piena. E’ passato un mese. Fra non molto finirà l’estate e occorrerà trovare una situazione definitiva,
In un’ansa del Terdoppio*, così si chiama il torrente che ora gira calmo e si impaluda, ha notato un piccolo rialzamento.
“Passerò l’inverno qui nella palude. Il futuro è nelle mani di Dio.”

* Il torrente Terdoppio quattro secoli dopo sarà incanalato su Vigevano per ordine dei duchi Sforza di Milano. Nella valle dove scorreva con meandri paludosi ora rimangono alcuni corsi d’acqua in gran parte canalizzati.

 

 

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