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22 Novembre 2018 - 13:34
Dal 1 gennaio ad oggi, sono 75 le donne prese in carico dalla cooperativa Kore, un centro antiviolenza accreditato dallo scorso anno anche in Regione. Numeri che non tengono conto delle richieste di aiuto ancora non formalizzate. Il fenomeno è trasversale: avere un’istruzione elevata o essere benestanti non mette al riparo. «Ogni caso – racconta Nicla Spezzati, presidente della cooperativa Kore onlus – va affrontato in maniera diversa, valutando con accuratezza il rischio che la donna, e i suoi figli, corrono. In questo senso è fondamentale accompagnare chi è vittima di violenze in un percorso di consapevolezza, con un supporto psicologico, legale, sociale, di presa in carico anche dei figli. Si tratta di un lavoro molto complesso, che deve essere svolto attraverso un confronto costante con i professionisti che lavorano in equipe, seguendo protocolli di intervento condivisi dopo una formazione durata anni. Abbiamo affrontato casi di violenza anche su minori. C’è inoltre un fenomeno preoccupante che riguarda la violenza nei confronti di chi è in una condizione di disabilità, sia fisica che psichica».
Nel centro antiviolenza di Kore sono attivi 2 avvocati, 4 psicoterapeute (di cui una specializzata per l’infanzia), 2 assistenti sociali e 3 educatrici, che svolgono un importante lavoro di sensibilizzazione e prevenzione anche nelle scuole, con progetti a partire dalle scuole materne. Tutti i professionisti di Kore operano in stretto contatto con carabinieri e polizia di Stato. «Con loro abbiamo una linea diretta, anzi direttissima. Di fronte a situazioni improvvise, complesse, e spesso pericolose, si valuta insieme quale sia la migliore soluzione. Con il Comando provinciale dei carabinieri, ad esempio, abbiamo intrapreso un percorso di formazione continua, con incontri ogni due mesi. Un apporto significativo arriva dal Comune, in particolare dall’assessore Antonietta Moreschi, e dal vescovo Maurizio Gervasoni, che ha messo a disposizione gratuitamente i locali dopo operiamo, credendo da subito nel nostro progetto».
Denunciare le violenze subite rimane il passo necessario per avviare l’iter che può portare anche a provvedimenti di tutela nelle case rifugio. «Il raptus non esiste - avverte Nicla Spezzati - la violenza è sempre un crescendo. C’è un ciclo della violenza dove chi maltratta diventa sempre più possessivo. Ci sono comportamenti che devono suonare come un campanello d’allarme: il controllo del cellulare, ad esempio. La donna viene isolata, maltrattata e annullata psicologicamente. Poi si passa alla violenza fisica vera e propria. C’è una fase, chiamata “luna di miele”, dove le violenze cessano, ma subentra un ricatto affettivo. Vengono pronunciate frasi come “non posso vivere senza di te”. Poi la violenza ricomincia, insieme al controllo assoluto della donna. Chi resiste, lo fa di solito per i figli, che vengono usati come arma di ricatto».
Solo pochi giorni fa una giovane donna è finita al pronto soccorso di Vigevano: gli operatori hanno scoperto che da dieci anni veniva malmenata dal marito.
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