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Il vigevanese è partito il 1° aprile
17 Aprile 2023 - 10:37
Lo aveva detto a tutti, anni fa, amici e parenti: «quando andrò in pensione, mi farò tutta l’Italia a piedi fino in Sicilia». Detto fatto. Adesso, che in pensione ci è andato davvero, Salvatore Mantione, per tutti Turi, 61 anni, si sta facendo la sua “passeggiata” di 1500 chilometri. A Vigevano lo conoscono tutti. Ha avuto una rivendita di frutta e verdura per tanti anni, poi è stato camionista. Il fratello Pietro, barista al Cascame, non ci credeva. «Poi un giorno me lo sono visto arrivare qui, con lo zaino, dicendo che stava partendo».
Era il 1° aprile. L’arrivo a Montedoro, in provincia di Caltanissetta, paese d’origine della famiglia, è previsto per metà giugno. Farà già parecchio caldo, ma del resto manca una vita. Domenica pomeriggio, in uno dei rari momenti in cui il suo cellulare prendeva la linea, Turi Mantione sembrava parecchio felice di poter parlare con qualcuno. Stava piantando la tenda nei dintorni di San Miniato, in provincia di Pisa.
La pioggia dei giorni scorsi ha reso l’operazione più laboriosa del solito. «Arriverò a destinazione – scherzava – con la barba lunga, così i parenti non mi riconosceranno. Sono un po’ orso...». Tutto è nato nelle serate con gli amici in cui magari si beve un po’ di più e le si sparano grosse. «Quando andrò in pensione, vado in Sicilia a piedi». «Seee...». Poi lo ha fatto davvero, anche se nei “piani” iniziali dovevano essere una piccola comitiva. Mano a mano altri si sono sfilati.
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Così, Turi Mantione da un anno cammina per almeno 20 chilometri al giorno con lo zaino, come forma di allenamento. Altrimenti sarebbe stato impossibile. L’itinerario scelto vuole la via Francigena fino a Roma. Da lì la costa, quando possibile, fino a Villa San Giovanni, presso Reggio Calabria. Da lì si prende il traghetto per la Sicilia, e sarà l’unica volta in cui il vigevanese usufruirà di un mezzo a motore. Poi, da Messina, di nuovo scarpinare verso il centro dell’isola. Tutti gli emigranti di ritorno lo sanno: il primo arancino (o arancina, che dir si voglia) si mangia sulla nave Caronte, non prima.
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«Temevo il caldo – racconta – ma ho beccato freddo, vento, acqua. La prima giornata decente del viaggio è stata quella in cui mi avete contattato voi. Il passo della Cisa è stato un incubo: un freddo micidiale, ma almeno niente neve. Finora ho dormito in due ostelli, od ospite di qualche amico, ma soprattutto in tenda. Risparmio e non chiedo niente a nessuno». Infatti ci si aspetterebbero aneddoti infiniti da chi percorre l’Italia a piedi. Invece non è così. «Incrocio qualche turista, soprattutto nordeuropei, tedeschi. Ma si socializza negli ostelli. Io invece li salto quasi sempre, vo per prati, lì non c’è nessuno». Come il prato toscano in cui si era accampato quella notte di aprile. Felci, alberi, qualche foglia secca. La provinciale in lontananza. Nessun rumore. Per Roma mancano un paio di settimane.
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