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La storia

Un libro per le bambine dell'India: l'esperienza di una giovane missionaria

Jennifer Zumelli, cassolese, che vive a Gambolò, pubblica “H con l'accento”. Ricavato in beneficenza

Davide Maniaci

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dade.x@hotmail.it

12 Novembre 2023 - 09:59

Un libro per le bambine dell'India: l'esperienza di una giovane missionaria

Un diario di viaggio che vuole fare del bene: il ricavato andrà interamente alle bambine dei villaggi dell’India sud-orientale che Jennifer Zumelli, 28 anni, biologa, aveva visitato otto anni fa da missionaria laica. Quindi la beneficenza è doppia. Ora, con gli introiti, e prima, quando la ragazza cassolese di origine (vive da qualche mese a Gambolò) aveva deciso di partire per dare una mano in alcuni villaggi.
Il libro s’intitola “H con l’accento”, è disponibile su Amazon. «Dico sempre – rivela – che l’India è “capitata’’ nella mia vita. Nei miei piani non esisteva, anzi avevo contattato un’associazione per andare a fare volontariato in un villaggio in Kenya. A causa di un attentato la Farnesina chiuse gli ingressi. Un caro amico, medico, mi parlò dell’India, dove aveva fondato un ospedale oftalmico e l’orfanotrofio di Velair, l’ultimo che ho avuto la fortuna di visitare. Undici ore di aereo, da sola, fuori dalla mia “comfort zone”. La mia esperienza si è svolta negli stati del Telangana e dell’Andra Pradesh dove sono dislocati gli orfanotrofi e gli istituti di sanità che ho visitato». Ne è nato un “diario di bordo”, che nessuno ha mai letto per lungo tempo, neanche la stessa Zumelli. «Più volte – prosegue – ho provato a leggere e a trascrivere qualche pagina, ma puntualmente arrivava un punto in cui la lettura faceva male. Mi sono presa del tempo per disinnescare la bomba dei ricordi. Il 23 ottobre di quest’anno, giorno del mio compleanno, sono riuscita a pubblicarlo».


In queste pagine non manca nulla, neanche le parti più difficili, quelle che sanno di perdite e privazioni. «Adesso – aggiunge l’autrice – preferisco parlare di come le bambine abbiano provato ad insegnarmi a truccarmi senza successo. Poi le canzoni nella loro lingua, il telegu, che hanno ostinatamente tentato di farmi imparare e quelle italiane che loro sapevano alla perfezione, dei tentativi di salvataggio della sottoscritta da scorpioni velenosi e ancora delle letterine, braccialetti, mollette per capelli e fiori di carta che hanno trovato posto nella mia valigia e sono tuttora intoccabili nella mia stanza». Pagine spietatamente vere. «L’idea del diario nasce da un’esigenza “pratica”: avevo bisogno di qualcuno o qualcosa con cui condividere i miei pensieri nella mia lingua, in cui buttare giù nero su bianco le emozioni contrastanti che provavo per evitare che mi sopraffacessero. Così ogni sera mi chiudevo in camera e mi prendevo del tempo con il mio quadernino rosso». Un contributo semplice ma fondamentale: gli introiti di questo libro illumineranno il cammino delle tante bambine indiane che vorrebbero studiare, ma non possono.

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