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solennità di sant'ambrogio
06 Dicembre 2025 - 14:22
VIGEVANO - Si è svolto questa mattina nell'aula consiliare di Palazzo comunale a Vigevano il consueto incontro tra i sindaci della Lomellina e il vescovo della Diocesi in occasione della festività di Sant'Ambrogio. Per l'occasione, nell'anno del Giubileo, la diocesi ha invitato il presidente della Provincia di Pavia Giovanni Palli a tenere il discorso che solitamente viene affidato a uno dei sindaci e poi effettuare l'offerta dell'olio per la lampada di Sant'Ambrogio.
A fare gli onori di casa, come sempre, il sindaco di Vigevano. Andrea Ceffa ha introdotto con un breve saluto gli ospiti della mattinata, ricordando l'importanza della missione politica, "la prima forma di carità", citando San Paolo VI, come ha ricordato poi il vescovo Gervasoni. "La figura di Sant'Ambrogio - ha aggiunto Ceffa - dev'essere uno specchio per noi sindaci, 'parroci laici' che devono avere tre principi: l'integrità, che vuol dire anche saper dire di no in certe situazioni, la difesa dei più deboli ed essere una guida etica, come lo fu sant'Ambrogio per sant'Agostino".
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Il presidente Palli si è rivolto ai sindaci tracciando un ritratto del territorio lomellino, caratterizzato dalla vocazione agricola e da quella industriale di Vigevano. Settori importanti di "un territorio ricco e di una città che è stata epicentro storico del Made in Italy lombardo e che oggi vie una forte contrazione". Secondo Palli la trasformazione industriale va accompagnata "con un'alleanza forte tra imprese, istituzioni e mondo del lavoro, perché non ci si può accontentare di uno strapuntino nella geografia economica della Regione. Sul piano sociale dobbiamo partire dagli ultimi, senza dimenticare le aree interne oggi considerate solo periferia, le ferite causate dalla solitudine, dalla mancanza di senso e dalle incertezze economiche di lavoratori che temono di essere sostituiti dalle nuove tecnologie e dall'intelligenza artificiale. Il futuro che vogliamo per la Lomellina vede un territorio coeso che guarda avanti a testa la propria missione".

Nel suo discorso, il vescovo, monsignor Maurizio Gervasoni, ha esordito con un giudizio positivo sul "breve percorso di ascolto reciproco e di formazione sul tema dell’abitare svolto durante l'anno con buon frutto da parte di tutti, soprattutto con la soddisfazione di avere affrontato un tema importante del bene comune, come quello, appunto, della casa, con la passione anzitutto di capire che valori e che situazioni tale tema incontra ed esprime". Percorso di approfondimento che sarà ripreso di nuovo, "con l’intento di sviluppare alcuni aspetti emersi lo scorso anno. Gli incaricati sono al lavoro e sarà presto possibile prendere nota delle modalità attuative. Mi auguro che la vostra adesione sia ancora positiva e a questo vi invito. Un ulteriore elemento di particolarità quest’anno sarà appunto il fatto che questo nostro incontro si completerà con la possibilità di celebrare in cattedrale, dopo questo nostro colloquio, il giubileo degli amministratori e dei sindaci con la celebrazione della santa Messa, in cui sarà offerto l’olio per la lampada di S. Ambrogio da parte del Presidente della Provincia di Pavia".
Il vescovo, dopo una parentesi riguardante il recente viaggio in Terra Santa del quale riferiamo a parte, ha affrontato anche quest'anno un tema cruciale: "La necessità di ripensare il compito della partecipazione per salvare la democrazia. Oggi voglio indicare con forza dove può portare l’esercizio solo utilitaristico e formalistico della democrazia. Una democrazia alimentata solo dallo Stato e dall’apparato statale tende a diventare sempre più formalistica e attuata con il controllo e con l’uso della forza. D’altro canto se i cittadini sono occupati a fare i propri interessi e senza nessuno slancio verso la ricerca comune del bene comune, la vitalità democratica è destinata a franare sconvolta da rivalità sempre più violente.
"Ecco allora - ha proseguito il vescovo - l’esito scisso tra l’invocazione di regole sempre più severe e l’invocazione di capi che sappiano risolvere i problemi sociali di tutti sollevando i cittadini dalla fatica di costruire responsabilmente la società. Regole severe e fiducia nel capo per avere il massimo di libertà personale. Tutto ciò non produce e non alimenta il desiderio morale di convivenza e non giustifica la fatica dell’impegno sociale. In questo modo l’invocazione violenta delle regole chiede giustificazione morale ancora più forte, che invece che alimentare il dialogo rende più forte la convinzione dell’uso della forza. In questo paradossale quadro si inserisce la pervasività suadente e ingannatrice del male che cerca equilibri di forza e di formalismo accondiscendente. Così la violenza diventa sacra, la diversità è vista con sospetto e con paura, la condivisione della fiducia un lusso che non ci si può più permettere. Basta solo che il livello di benessere e perciò della distribuzione giusta dei beni si abbassi che la violenza diventa la facile scorciatoia per ottenere ciò che si vuole per vivere".
"Il primo compito della politica in democrazia - ha concluso - è l’attivazione della partecipazione. La seconda è che l’apertura all’inclusione di tutti aiuti nella ricerca delle regole di vita giusta e corregga la brama del successo personale non solo in modo formale, ma anche etico. Per questo l’appello che le scelte importanti siano per tutti diventa forma breve di garanzia per la ricerca vera della giustizia e della pace. Ancora una volta l’attenzione agli ultimi è farmaco di democrazia e si alimenta soprattutto nelle dinamiche comunitarie più che in quelle sociali. Questo è appunto il tema del programma pastorale di quest’anno, che vi invito a leggere, dove si propone di curare le dinamiche comunitarie di assunzione di impegno sociale e di motivazione sapienziale del suo senso. Ma anche per questo l’annuncio cristiano del Natale è quanto mai profetico: il Natale dice che la pace viene dall’accoglienza di un bimbo povero appena nato. Accogliere la vita di un bimbo così è capace di aprire il cuore a tutti rivolgendolo verso un futuro di speranza e di solidarietà perché accoglie il dono come luogo vero della libertà".
IL VIAGGIO A GERUSALEMME
Lo scorso mese di ottobre i vescovi lombardi hanno compiuto un pellegrinaggio di pace in Terra Santa (Gerusalemme e Betlemme), incontrando il Patriarca Pizzaballa e i rappresentanti locali, e pregando per la pace, sottolineando la necessità di conversione interiore per superare la violenza.
"Vorrei proporvi alcune riflessioni maturate dentro di me nel viaggio recente in Terra Santa con i vescovi lombardi, ha detto il vescovo Gervasoni. Ecco le sue parole.

"Il viaggio aveva l’intento di stare vicino ai cristiani di quel luogo per esprimere loro vicinanza e preghiera, dando anche la disponibilità di aiuto concreto. È stata un’esperienza ricca di umanità e di fede. Essi hanno accolto con grande piacere la nostra presenza, perché il dubbio di essere abbandonati da tutti è in loro molto forte, ma più forte ancora è l’assoluta incertezza per il futuro.
Mi ha molto colpito la presenza di un conflitto che dura da anni, ma che ora è diventato espressione di odio forte e visceralmente sentito… Da una parte Israele, con un forte Stato alle spalle, una grande potenza amministrativa ed economica e una coscienza di popolo e di religione che dà valore etico ed epico alle azioni svolte contro i nemici. Dall’altra i Palestinesi, popolo debole militarmente e civilmente, diviso in gruppi tribali e con vaga identità islamica, ma con forte avversione contro Israele. Essi sono profondamente convinti di dovere resistere a Israele e non ritengono più di trovare soluzioni pacifiche con gli Ebrei. Paradossalmente sembra che sia proprio questa avversione che li stringe tra loro in modo forte e sicuro.
La vita continua nelle difficoltà, ma soprattutto si alimenta di odio, di sogni di rivalsa e di vendetta contro il nemico che non lascia loro che la disperazione. La legalità è quella delle armi e della forza che viene esercitata con riferimenti giuridici formali e iniqui, che avallano e giustificano ogni decisione di forza.
In genere i più poveri e i più deboli occupano e svolgono un ruolo che in termini militari si definirebbe carne da cannone. Ma sono anche coloro che pagano il prezzo più alto in questo conflitto, ma non hanno nessuna voce politica.
Israele è poi la terra della convivenza delle importanti religioni del Libro e della rivelazione storica di Dio. Quella terra è santa per tutte e tre le tradizioni religiose, ebraica, cristiana e islamica, ma proprio per questo la convivenza pacifica è quasi impossibile, anche perché il riferimento religioso finisce di alimentare, invece che comportamenti di dialogo e di pace, proprio comportamenti violenti giustificati con motivi religiosi.
Rattrista leggere il profeta Isaia nel periodo di Avvento che descrive Gerusalemme come la città desiderata da tutti i popoli perché da essa escono pace e giustizia. Le parole di Sabah sulla difficoltà dei cristiani palestinesi a pregare con i salmi che inneggiano a Israele sono palpabilmente vere in questi tempi in Palestina.
Eppure, nel 1948 la proposta, poi sostenuta dall’ONU e internazionalmente ancora prioritaria, di costituire uno Stato laico con diverse comunità etniche e religiose avrebbe forse permesso un’esperienza significativa di convivenza. Tale prospettiva, dopo le guerre contro Israele del passato e dopo questa recente e ancora attiva guerra di distruzione, non è più sentita come possibile anche per via della forte connotazione religiosa delle diverse etnie in gioco.
In questo scenario, paradossalmente la divisione tra cristiani, sempre vissuta in Terra Santa come scandalo incomprensibile e paradossale, trova in questa fase storica la possibilità di aprire un ruolo nuovo di dialogo. I cristiani sono evidente minoranza in Israele. Essi sono spinti a emigrare dallo scontro tra l’istanza islamica e quella ebraica, più decisamente forti e numerose, ma anche perché essi non sono sostenuti da potenze politiche con interessi particolari in quella zona. Il loro rimanere laggiù, legato magari al loro desiderio di rimanere nella loro terra, così fortemente ricca di significato religioso e spirituale, oggi è visto come opportunità di dialogo e possibilità di mediazione, proprio attraverso azioni ecumeniche di pace e di giustizia. Non per nulla i cristiani insistono a porre opere di educazione e di scuola, ma anche interventi in campo sanitario. L’impegno caritativo e perciò laico avvicina i cristiani tra loro, favorendo così un buon cammino ecumenico, ma permette loro di costituire un presidio popolare per la salvaguardia dei diritti umani soprattutto per i più poveri, sia palestinesi, sia ebrei, sia cristiani.
L’attenzione alla povertà avvicina le persone e i gruppi. E questa solidarietà nella povertà avvicina anche i poveri ebrei, a meno che non siano strumentalmente usati per allontanare i palestinesi. In ogni caso, su questo tema mi pare utile ricordare la grande attualità del testo Dilexi te, recentemente pubblicato da papa Leone XIV proprio sul tema dell’amore ai poveri".
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