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Processo Stasi: chiesta la condanna a 30 anni

E' il massimo della pena per il reato contestato che è di omicidio volontario aggravato da sevizie e crudeltà tenuto conto dello sconto previsto dal rito abbreviato.

24 Novembre 2014 - 17:25

Processo Stasi: chiesta la condanna a 30 anni
La richiesta era nell'aria, se non altro perché era già risuonata due volte nelle aule dei processi ad Alberto Stasi per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi.
La pubblica accusa l'aveva presentata in primo grado davanti al gup di Vigevano nel 2009 e poi nel primo appello a Milano nel 2011, sempre invano perché poi i giudici avevano assolto, prima che la Cassazione annullasse tutto. Il sostituto procuratore generale Laura Barbaini l'ha ripetuta oggi alle 17, tornando a sollecitare la condanna di Alberto a 30 anni di reclusione. È il massimo della pena previsto per il reato contestato, omicidio volontario aggravato da sevizie e crudeltà, tenuto conto che lo sconto connesso al rito abbreviato preclude l'irrogazione dell'ergastolo.
Il pg Barbaini ha svolto la sua requisitoria parlando per circa sei ore nell'undicesima udienza del nuovo processo d'appello, ormai alle battute finali davanti alla prima corte d'assise d'appello di Milano. Pochi i passaggi trapelati del suo intervento, avvenuto a porte chiuse come tutto il processo, vista le scelta del rito. Ha stigmatizzato il comportamento di Stasi e dei suoi legali che, ha detto, «hanno cercato di ostacolare le indagini con continue omissioni, andando ben al di là del diritto di difesa». E ha rimarcato come «in tanti anni di attività mai si era capitato di trovarmi di fronte a due sentenze che avevano escluso un accertamento così importante come quello sui gradini».
Poi il sostituto procuratore ha enumerato uno per uno gli elementi indiziari per i quali, secondo lei, fu Alberto ad uccidere la fidanzata Chiara Poggi la mattina del 13 agosto 2007 a Garlasco. La sentenza di primo grado del gup Stefano Vitelli teneva in piedi solo due indizi, entrambi per altro considerati non gravi né precisi: il ritrovamento del Dna della vittima sui pedali di una bicicletta sequestrata all'imputato e delle impronte digitali di Alberto, insieme al Dna di Stasi, sul dispenser del sapone liquido nel bagno della villetta di via Pascoli. A questi si aggiungono una serie di elementi che secondo la Cassazione non erano stati valutati ma hanno valenza indiziaria, come il fatto che Alberto disponeva di una bici nera da donna, ovvero il modello visto da una testimone davanti alla casa di Chiara la mattina del delitto, ma non ne parlò ai carabinieri. O come la mancanza di alibi tra le 9,12 e le 9,35, presumibile finestra temporale in cui fu consumato l'omicidio. A tutto ciò si aggiungono i nuovi elementi emersi dall'ampia integrazione probatoria condotta nel processo d'appello bis, con due perizie, l'audizione di sette testimoni e l'acquisizione dei verbali con le dichiazioni di molti altre, oltre a diverse consulenze di parte. In particolare l'avvenuta sostituzione dei pedali della bici bordeuax, quelli su cui c'era il Dna di Chiara, diversi per marca e modello da quelli montati di serie su quella bicicletta. Inoltre la presenza di graffi sull'avambraccio sinistro di Stasi, riferiti da due brigadieri dei carabinieri, che all'epoca li notarono, ne parlarono con i loro superiori ma per una dimenticanza non li fotografarono. La circostanza fu poi del tutto trascurata dagli inquirenti. Il particolare si collegherebbe all'esito, incerto, delle analisi sulle unghie di Chiara: è stato trovato Dna maschile non incompatibile con quello di Alberto, ma non è stato possibile procedere ad una comparazione perché lo stato di alterazione dei reperti, dopo sette anni, non lo consentiva.
Il pg si è anche soffermato su un elemento inedito a supporto dell'indizio delle impronte digitali di Stasi trovate sul dispenser del bagno insieme al Dna della vittima: ha ricordato le quattro ditate insanguinate trovate sul pigiama di Chiara e lasciate dall'assassino, che dunque dopo deve essersi lavato le mani. Quell'elemento non fu mai valorizzato perché le tracce furono incautamente disperse durante le operazioni di rimozione del cadavere, ma ne è rimasta agli atti una foto che la pubblica accusa ha ripescato.
Il processo riprende giovedì con l'arringa degli avvocati di parte civile Gian Luigi Tizzoni e Francesco Compagna, poi il 3 dicembre toccherà alle difese. Per le repliche e la camera di consiglio è stata fissata la data del 17 dicembre, lo stesso giorno di cinque anni fa in cui Stasi incassava la sua prima assoluzione a Vigevano.

@L'INFORMATORE
Claudio Bressani
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