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13 Luglio 2023 - 15:05
La zona della Morsella dove è stata ritrovata la salma
Nella vicenda umana e personale dell’omicidio di Mohammed Ibrahim Mansour si aggiunge una nuova protagonista. È la sorella, Eman Ibrahim Mansour, arrivata dall’Egitto per manifestare la volontà della famiglia. Conosce solo l’arabo, ma si affida a Hussein Ibrahim, referente della Comunità islamica El Medina di Vigevano per la traduzione. In sintesi la sua volontà è chiara, esprime fiducia nella magistratura italiana e sottolinea che la piccola figlia del fratello e della sorella minore dei Rondinelli, è ritenuta parte della famiglia.
Eman Ibrahim Mansour, sorella del 43enne egiziano trovato carbonizzato alla Morsella
«Prima di tutto, vorrei esprimere il mio ringraziamento a tutte le autorità italiane ed egiziane per la loro assistenza nel caso di mio fratello e per il rilascio del nulla osta per seppellire il suo corpo nella sua patria - afferma Eman - E mi auguro di ottenere giustizia e che siano puniti tutti coloro che hanno partecipato all’uccisione di mio fratello e all’incendio del suo corpo». Eman conosceva la famiglia Rondinelli e aveva avuto anche contatti con loro e con la sorella Elisa. Ora quest’ultima è indagata per favoreggiamento. Sono in carcere Antonio Rondinelli, 60 anni, il capofamiglia e i fratelli Massimo e Claudio Rondinelli, di 34 e 39 anni. Luigi D’Alessandro, 37 anni, compagno di Elisa è ai domiciliari in una comunità. La moglie di Tonino, Carmela Calabrese, 56 anni è accusata di concorso ed è ai domiciliari. Il delitto si era scoperto il 14 gennaio. Il corpo carbonizzato di Ibrahim era stato trovato a bordo della sua Audi A3 nelle campagne della Morsella. Ma l’omicidio era avvenuto l’11 gennaio nel capannone di Cassolnovo, di proprietà dei Rondinelli, dato in uso a Ibrahim. Quest’ultimo fu ucciso con tre colpi di fucile e uno di pistola. Il movente potrebbe proprio trovarsi nella volontà di Ibrahim Mansour di chiedere in affido la figlioletta. La famiglia Rondinelli si sarebbe opposta fino al punto di ucciderlo. «È l’unico figlio maschio - dice la sorella di Ibrahim - secondo le nostre usanze, assume il ruolo di padre. Questo racconta la tragedia a cui siamo stati esposti vivendo una sofferenza psicologica per una grande catastrofe che ha colpito tutti. Le condizioni di salute di mio padre e mia madre sono peggiorate. L’unica speranza che li tiene in vita è la figlia di Mohamed, mia nipote. È che la abbraccino, la vedano e le diano tutto l’amore e le cure, perché lei è l’unico ricordo che abbiamo di Mohamed. La speranza è anche per me e per le mie sorelle, così possiamo compensare la perdita. Per il bene della mia amata nipote ho lasciato l’Egitto e sono venuta per un obiettivo, che è quello di abbracciare mia nipote e prendermi cura di lei - conclude Eman -. Ha il diritto di stare nella famiglia di suo padre, ora disposta a sacrificare tutto per la sua felicità». Eman ha voluto vedere, assieme allo zio, il capannone di Cassolnovo (ancora sotto sequestro) in cui sarebbe avvenuto il delitto. La sua foto è qui ritratta proprio davanti a questo luogo.
Il capannone di Cassolnovo durante il sopralluogo dei Ris
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