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La storia
04 Gennaio 2024 - 16:10
Il luogo dove vive Rachid
Una vecchia coperta leopardata per ripararsi, probabilmente insufficiente nelle notti di gennaio in cui la temperatura può andare sottozero. Intorno tantissima immondizia, di ogni tipo, tra imballaggi alimentari e altro e un grande telo plasticato. Lui è lì, gentile ma inerte, a sonnecchiare. Scene di clochard all’addiaccio sono forse comuni a Milano, o nelle grandi metropoli dell’Occidente. Un po’ meno a Vigevano. Un cittadino ha segnalato quest’uomo che da due o tre mesi sta in via Rovereto, in un angolo. Se non ci passi a un centimetro non lo noti. «Vive praticamente per terra al freddo sotto un telo di plastica, in questi giorni che piove non ha nessun riparo. Sta nell’immondizia più totale. Possibile che nessuno intervenga?». L’uomo si chiama Rashid, nome arabo ed infatti è marocchino. Ha 52 anni. Ha raccontato la sua storia. «Avevo una bancarella al mercato, vendevo merceria, di tutto un po’. Poi ho dovuto chiudere perché gli affari non andavano più. Sono separato. Ho due figli, vivono qui. Un po’ non mi vengono a trovare, un po’ forse ho vergogna io. Chiedo solo un posto dove stare, senza pretenderlo». Il suo italiano è buono, il suo tono è gentile, senza rancore. Forse un po’ annebbiato. Non avrebbe senso, però, giudicare un uomo che non ha niente e non fa del male a nessuno. Semplicemente stringe il cuore. La macchina di Rashid, scassata, è parcheggiata lì a pochi passi. Questo è il suo piccolo mondo.
A pochi passi si trova il centro islamico di Vigevano. Il sole tramonta presto e quindi già poco prima delle 17 i fedeli si ritrovano per la preghiera. Conoscono bene Rashid. Ne condividono la provenienza e la fede. «Ma certo – ha spiegato un frequentatore del centro – che lo conosciamo, ed ovviamente proviamo ad aiutarlo. Facciamo collette periodiche sapendo che non servono a molto: siamo gente umile, teniamo famiglia, non è semplice. Stiamo cercando il modo di ricavare un alloggio per poterlo trasferire».
Rashid probabilmente ha bisogno di tre cose. La prima è poter lavorare, e non è certo semplice di questi tempi. La seconda è tornare a pensare che la vita sia bella, che abbia un senso riprovarci. La terza è un po’ di comprensione ed empatia da parte del prossimo.
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