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Il processo

Omicidio della Morsella, gli imputati Antonio e Claudio Rondinelli negano tutto

Il fratello Massimo, reo confesso, ammette solo le sue responsabilità. Luigi D’Alessandro racconta quel che ha sentito dire in quella sera. Ibrahim gridava: «Non ammazzatemi»

Bruno Romani

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bruno.romani@ievve.com

29 Aprile 2024 - 18:25

Omicidio della Morsella, gli imputati Antonio e Claudio Rondinelli negano tutto

La casa della Morsella e Mohammed Ibrahim Mansour

È ripreso questa mattina (lunedì) in Corte d’Assise a Pavia, presieduto dalla giudice Elena Stoppini, il processo per l’omicidio di Mohammed Ibrahim Mansour, 44 anni, egiziano. La sua auto Audi A3, quasi completamente bruciata, era stata ritrovata il 14 gennaio 2023 nelle campagne della frazione Morsella di Vigevano. La targa, però, si leggeva ed è stata subito associata a lui. Il corpo carbonizzato all’interno era il suo. Nel corso dell’udienza odierna si è anche saputo da Luigi D’Alessandro, 38 anni, compagno di Elisa Rondinelli, che l’auto era stata portata in quel bosco e data alle fiamme il 13 gennaio. L’omicidio era invece avvenuto l'11 gennaio nel capannone di Cassolnovo, di proprietà della famiglia Rondinelli, dato in comodato a Ibrahim per lavorare. La complessa vicenda è stata rievocata in aula, ma i due imputati Antonio Rondinelli, 60 anni, e il figlio Claudio, 40 hanno entrambi negato di essere coinvolti. Hanno accettato di rispondere alle domande di Pm e avvocati, mentre la mamma Carmela Calabrese, 57 anni, si è avvalsa della facoltà di non rispondere.

Claudio è stato perentorio: «Non so nulla delle armi» e «Luigi ha detto il falso, rigetto le accuse, non ho visto Mohammed e non ho mai avuto astio contro di lui». In passato Claudio aveva trascorso degli anni in carcere. Proprio in quel periodo la sua sorella minore aveva avuto una relazione con Ibrahim da cui era nata una bambina. Secondo l’accusa sostenuta dal Pm Andrea Zanoncelli dopo i problemi e le discussioni degli ultimi giorni prima dell’omicidio, sarebbe nata l’idea di recarsi al capannone e uccidere Mohammed Ibrahim. L’avrebbero fatto Claudio, l’altro fratello Massimo e il padre Antonio, per questioni di interesse e per il fatto che ibrahim voleva l'affido della bambina e loro erano contrari. Anche Antonio, in udienza, ha negato ogni cosa spiegando che «voleva bene a Mohammed come a un figlio» e che «non sapeva nulla» di quel che era successo nel capannone. Luigi D’Alessandro si sarebbe inventato questa storia.

Il D'Alessandro sarebbe stato coinvolto la sera stessa del delitto dopo che nel capannone di Cassolnovo Antonio, Claudio e Massimo avevano ucciso la vittima. Un secchiello con proiettili e una pistola avvolta in alcuni stracci e una borsa di plastica del supermercato gli erano stati dati in consegna. Con l’auto di Elisa, una Polo, doveva darli a Massimo. Ma il viaggio era stato deviato verso la casa di Bruno Guarda e della figlia Valentina, a Gravellona, perché Massimo si trovava lì (Valentina era la sua fidanzata). Luigi D’Alessandro, in quella drammatica serata, dice a Massimo: «Devo darti le caramelle di tuo padre, dimmi dove sei che te le porto».

L’omicidio era avvenuto poco prima, probabilmente in tre, Antonio, Claudio e Massimo, avevano sparato a Ibrahim nel capannone di Cassolnovo. Una con la pistola e gli altri con due o tre fucili. Ma l’unico ad ammettere di avere sparato è stato Massimo, reo confesso, che è stato già condannato a febbraio davanti al Gup a 19 anni di carcere. Oggi è stato sentito davanti alla Corte d’Assise, però ha confermato quel che aveva già detto in precedenza, cioè di essere stato solo. Ma la presidente Elena Stoppini l’ha richiamato più volte ricordandogli la falsa testimonianza. Il pubblico ministero, però, ha chiesto di poter produrre (forse anche vedere) in aula il video del primo interrogatorio di Massimo.

Dopo l’omicidio il corpo della vittima sarebbe stato nascosto sotto a delle lamiere. E due giorni dopo arriva l’idea di D’Alessandro (ha chiesto il patteggiamento per il reato di occultamento di cadavere) di sposarlo alla Morsella. «Era un posto in cui sapevo che c’era spaccio di droga. Per questo ho pensato che si poteva mettere lì. Poi abbiamo dato fuoco all’auto con alcune taniche di kerosene o benzina».

Il racconto della notte dell’omicidio da parte di D’Alessandro è dettagliato. Era andato a casa di Carmela, la mamma della fidanzata Elisa. Era scura in volto e ha detto che Antonio e Claudio a cui si è unito Massimo, erano andati da Mohammed. Quando è tornato Antonio ha fatto capire quel che avevano fatto e ha detto che dovevano far sparire la pistola. Voleva darla a Elisa. «Io mi sono opposto». Nel racconto di quella sera – secondo il D’Alessandro - Antonio avrebbe spiegato dell’omicidio. Claudio avrebbe sparato con la pistola, Antonio e Massimo con i fucili. Dopo il primo sparo Mohammed avrebbe gridato «Basta basta, non ammazzatemi».

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