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Il giudizio
07 Febbraio 2025 - 18:59
Alberto Stasi nei pressi del Tribunale di Vigevano
La prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo si è riunita il 12 dicembre del 2023 in un comitato composto da Peter Paczolay come presidente e dai giudici Gilberto Felici e Raffaele Sabato. Il ricorso a questa Corte era stato avanzato dall’avvocato Antonio De Rensis di San Giovanni in Persiceto (Bologna) il 21 dicembre del 2016. Eccepiva la possibilità che fosse stata compromessa «l’equità del procedimento penale condotto a carico di Alberto Stasi». Ma dopo l’analisi e le valutazioni di legge la Corte ha deciso che il ricorso è «manifestamente infondato» e che «prima la Corte d'assise d'appello di rinvio, e poi la Corte di cassazione, hanno adeguatamente esaminato la pertinenza dell'audizione richiesta dal ricorrente e sufficientemente motivato le loro decisioni». Capitolo chiuso.
Il delitto di Garlasco fu commesso il 13 agosto del 2007. Divenne per la sua complessità un caso mediatico. La condanna di Alberto Stasi a 16 anni di carcere risultò definitiva nel 2015. Prima si erano susseguite diverse sentenze, anche di Cassazione. Nell’ultimo ricorso alla Corte di Giustizia l’avvocato di Stasi ha eccepito il fatto che la Corte d’assise d’appello (con la conferma della Cassazione) si era rifiutata di risentire una teste, Franca Bermani, e questo non avrebbe consentito il cosiddetto “processo equo”. Il tema dalla “bicicletta nera” era stato ricorrente nell’arco dell’intero procedimento. Ma la Corte del Lussemburgo sottolinea quanto emerso nella seconda sentenza della Corte d’assise d’appello del 17 dicembre 2014: «Era accertato che la vittima conosceva l’omicida, e che quest'ultimo conosceva la sua casa; il ricorrente aveva fornito una descrizione incongrua, illogica e falsa delle circostanze del ritrovamento del corpo della vittima; le impronte digitali sull’erogatore di sapone del bagno, utilizzato dall'omicida per pulirsi, dimostrano che il ricorrente era stato l'ultimo ad aver utilizzato l’erogatore in questione; importanti tracce del Dna della vittima erano state trovate sui pedali della bicicletta del ricorrente; il numero di scarpe del ricorrente corrispondeva a quello delle impronte lasciate dall'omicida».
In un altro passaggio fondamentale la Corte aggiunge che «le dichiarazioni della Bermani facevano parte degli elementi di prova contenuti nel fascicolo della procura e che, chiedendo il giudizio abbreviato, il ricorrente aveva accettato di essere giudicato sulla base delle suddette dichiarazioni, e aveva rinunciato a ottenere l'audizione della testimone nel corso del processo. In compenso, il ricorrente aveva beneficiato della riduzione di pena derivante dal giudizio immediato». Sulla bici nera che si trovava nella disponibilità di Stasi furono effettuate tutte le possibili perizie scientifiche. Nell’udienza del 20 ottobre 2014 i legali di Stasi chiesero alla Corte d'Assise d'appello di sentire Franca Bermani ma i giudici ritennero che le dichiarazioni già raccolte fossero sufficienti ed esaustive. La difesa però non ritenne equa questa decisione e si recò alla Corte di giustizia europea.
I giudici estensori ripercorrono nella sentenza l’intero iter giudiziario a partire dal 2009. In primo grado l'accusa chiese 30 anni di carcere ma Stasi fu assolto, così come nel processo d'appello a Milano (2011). Il 18 aprile 2013 la Cassazione annullò l'assoluzione e si celebrò un nuovo processo d'appello che portò all’ultima sentenza poi confermata dalla Cassazione.
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