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La fuga dalle bombe di Sarajevo: così tre bimbi diventano grandi

Rosella Postorino protagonista alle 14,30 della Rassegna Letteraria

Davide Maniaci

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dade.x@hotmail.it

13 Ottobre 2023 - 15:33

La fuga dalle bombe di Sarajevo: così tre bimbi diventano grandi

«Non parto mai dalla grande Storia, ma da una particolare storia che riesce ai miei occhi a raccontare una precisa condizione umana, in tutta la sua ambivalenza. Non è lo scenario, il punto, bensì un interrogativo esistenziale. Che i miei ultimi romanzi siano considerati storici è pressoché un incidente. In questo caso mi interessava raccontare, ancora una volta, una contraddizione non immediatamente evidente. I bambini di Sarajevo che sono stati portati in Italia durante l’assedio e mai più restituiti alla loro terra si sono salvati, quindi hanno ricevuto del bene, ma a un prezzo altissimo, che ha implicato addirittura la perdita dei loro genitori. Il tema più profondo del romanzo è lo strappo come inevitabile esperienza della vita, a partire dalla nascita».
Esordisce così Rosella Postorino. Scrittrice di successo, sarà ospite sabato 14 ottobre alle 16,30 al cine-teatro Odeon nell’ambito della Rassegna Letteraria per presentare “Sarajevo - Il prezzo della salvezza” edito da Feltrinelli. Dialogherà con il curatore dell’evento, Ermanno Paccagnini.

Rosella Postorino (foto Sara Lando)

Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell'antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra(Neri Pozza, 2007; Feltrinelli, 2018; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) ed è fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015). Con Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), romanzo tradotto in oltre 30 lingue, ha vinto il Premio Campiello 2018 e diversi altri prestigiosi premi letterari, quali il Premio Rapallo, il Premio Chianti, il Premio Lucio Mastronardi Città di Vigevano, il Premio Pozzale Luigi Russo, il Premio Wondy e, per l’edizione francese del romanzo (La Goûteuse d’Hitler, ed. Albin Michel), il Prix Jean Monnet.  


«Questo libro - spiega l’autrice - non è basato su una storia vera, è un romanzo di invenzione, è una costruzione narrativa in senso classico. È la storia di tre personaggi di fiction, tre bambini che, esattamente come è accaduto nel 1992 a un gruppo di ragazzi di Sarajevo, prevalentemente provenienti da un orfanotrofio, sono stati portati in Italia per salvarsi dalle bombe. Il romanzo li segue per quasi vent’anni, raccontando le conseguenze dei loro legami recisi e di quello, tormentato e inesauribile, fra loro tre. Li vediamo crescere nonostante tutto, farsi promesse, tradirsi, sperare, sognare o non autorizzarsi a farlo, innamorarsi, distruggersi, tentare ogni volta di proteggersi a vicenda».


Sarajevo: una città che non può non stregare, senza magari un motivo apparente. Cosa le ha lasciato? È riuscita a parlare con qualche “reduce”, magari un tempo bambino?

«Ho parlato con alcuni di quelli che sono stati bambini profughi nel 1992 e che sono adesso miei coetanei, e con i loro genitori, che per anni, anzi per decenni, non hanno più saputo nulla di loro, e in generale con gli adulti - bosniaci e italiani - che hanno consentito la fuga e poi l’accoglienza. D’altronde, ogni volta che sono stata a Sarajevo, fin dalla prima 10 anni fa, ho parlato con reduci della guerra o con persone che dalla guerra erano scappate, come la ragazza bosniaca che viveva nel mio stesso studentato a Vienna nel 2000 e che un giorno ha condiviso con me i suoi ricordi. Eravamo in piedi accanto alla finestra della cucina comune a fumare una sigaretta e io mi sentii piccolissima e impotente di fronte al racconto della sua fuga attraverso il tunnel sotto l’aeroporto. Non l’ho mai dimenticata. Così come è impossibile dimenticare Sarajevo. È una città in cui la relazione tra la Storia e l’intimità degli esseri umani è ineludibile. Non siamo liberi dalla Storia come spesso ingenuamente crediamo».

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