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L'anniversario
18 Gennaio 2022 - 13:25
Teresio Olivelli
Ogni anniversario è sempre più sentito e partecipato, come se la figura di Teresio Olivelli fosse via via più vicina, e non lontana nel tempo, e ricordata da un numero crescente di persone. Gli Alpini della sezione di Vigevano (lo stesso Beato ucciso nel lager di Hersbruck, sottocampo di Flossenbürg, il 17 gennaio 1945 era una “penna nera”) hanno commemorato Olivelli lunedì mattina, insieme agli studenti del liceo vigevanese Benedetto Cairoli e al dirigente scolastico, Alberto Panzarasa.
Il video della cerimonia al Cairoli di lunedì 17 gennaio
Teresio, Beato, partigiano, Medaglia d'oro al valor militre alla memoria, prima di laurearsi in giurisprudenza a Pavia si era diplomato proprio al Cairoli. Ai tempi c'era solo il liceo classico, e lui si presentò all'esame di maturità con un distintivo dell'Azione cattolica, la cui esibizione in pubblico era vietata dal regime fascista. Nato a Bellagio nel 1916, la sua famiglia era in realtà originaria di Zeme, dove tornò da bambino studiando al ginnasio Travelli di Mortara.
Un giovane Olivelli in abiti civili
LA MEMORIA, LE TESTIMONIANZE
Intanto gli studiosi locali Marco Savini e Maria Antonietta Arrigoni aggiungono nuovi tasselli alla memoria di un uomo che non esitò a donare la vita per cercare di difendere dalle percosse un altro prigioniero. «Oggi a Hersbruck - raccontano - il lager non esiste più, al suo posto c’è un supermercato. Esiste però un memoriale e il ricordo di ciò che è stato non si è perso. Ogni anno il 27 gennaio, tutte le confessioni religiose presenti in città insieme con le autorità politiche e ad esponenti della società civile organizzano una suggestiva fiaccolata. Teresio Olivelli non è uno sconosciuto di cui non si sa nulla e non viene ricordato solo nella chiesa cattolica. Anche a Flossenbürg ove esiste una mostra permanente e nel sito on line del lager, Teresio è ricordato come uno dei più importanti italiani deportati. Egli entrò in lager non come cattolico ma come politico, e fu contrassegnato col triangolo rosso e con un cerchio sulla giubba che indicava i reclusi più pericolosi. Egli viene ricordato come esempio eroico di carità cristiana ma anche come limpida figura di resistente che, nel lager, seppe inserirsi all’interno dell’organizzazione clandestina che vi operava, per poter salvare più vite umane possibili, contrapponendosi al disegno nazista che aveva come obiettivo lo sterminio di tutti i diversi o con la camera a gas o attraverso il lavoro, le sevizie e condizioni di vita disumane. Teresio è oggi ancora testimone per i tedeschi di Hersbruck di amore, attenzione per l’altro e solidarietà. Di recente un centro di accoglienza per poveri e immigrati, gestito dalla chiesa cattolica, è stato intitolato proprio a lui».
La casa per disabili intitolata a Olivelli a Hersbruck
«Di fronte, nella stessa via – proseguono Savini e Arrigoni – esiste anche un analogo centro per l’accoglienza della chiesa protestante, intitolato al teologo tedesco Dietrich Bonhöffer, anche lui morto a Flossenbürg per impiccagione il 9 aprile 1945. Teresio e Dietrich incarnano, nei loro destini, il destino della Resistenza d’Europa. Se non si moriva in combattimento e se, catturati, si scampava alla tortura, o si era giustiziati o si era deportati, con l’obiettivo di annientarti nei lager. Teresio aveva vissuto anche l’esperienza della fucilazione, essendo stato inserito, quando era a Fossoli, nell’elenco dei 70 partigiani giudicati pericolosi che avrebbero dovuto essere fucilati il 12 luglio 1944. Egli riuscì a nascondersi al momento dell’appello, catturato ad agosto, torturato, fu inviato in Germania. Nella sua morte (per i colpi ricevuti come punizione per aver difeso un compagno) egli dimostrò che l’essere umano non si può piegare, fino all’ultimo respiro egli è in grado di scegliere tra bene e male e di opporsi a ogni tentativo di spogliare l’uomo della sua umanità, strappandogli i valori in cui crede. Fu coerente con ciò che aveva scritto nella Preghiera del Ribelle, quando aveva chiesto al Signore di aiutare i Ribelli a vivere fino in fondo la loro difficile scelta: spezzaci, non lasciarci piegare».
In questo pannello, a Hersbruck, sono stati messi a confronto frasi di Bonhoffer e di Olivelli.
Hersbruck è una piccola città della Baviera, nel corso della seconda guerra mondiale fu creato dalle SS un sottocampo del lager di Flossenbürg. In quel sottocampo, tra i peggiori dei 90 sottocampi, i reclusi erano impegnati nell’industria bellica, ove si lavorava in condizioni durissime, senza interruzione. Si calcola che, nell’inverno 1944/45, a causa dei maltrattamenti, degli alti ritmi di lavoro, delle pessime condizioni igieniche e della mancanza di cibo, abiti, scarpe, coperte, medicine, dovuta al collasso dello stato tedesco, per la sconfitta imminente, metà dei deportati morì. I rimasti furono poi decimati dalle esecuzioni e dalle marce della morte quando, nel mese di aprile, i lager furono sgombrati e, in parte distrutti, in vista dell’arrivo degli alleati. L’ultimo sottocampo di Flossenburg ancora aperto fu liberato il giorno 8 maggio, fine della guerra.
IL RICORDO DEL PITTORE
C'è anche un pittore, Franco Castelli, compagno di prigionia, che ha lasciato dei diari. Sono stati pubblicati nel libro a cura di Vincenzo Pappalettera ”Nei lager c’ero anch’io”. Castelli rinunciò a parlare di sé stesso per parlare di Teresio, affinché non fosse dimenticato. Un’altra testimonianza straordinaria, che riemerge.
«A Bolzano - scriveva Castelli, antifascista, membro del 75° GAP di Giustizia e Libertà a Milano - conobbi la bella figura di Teresio Olivelli. Si distingueva tra gli altri quasi e forse più di un capo, invece era solo uno di noi che si dava da fare per renderci la vita meno pesante. Olivelli era uno sconosciuto per me e per quasi tutti gli altri miei compagni, ma divenne immediatamente un nostro amico. Certo, nella sua grande anima noi non eravamo sconosciuti ma fratelli bisognosi. Ci considerò sempre così e credo che ci aiutò solo per puro altruismo cristiano, al di là di ogni considerazione politica. Se poi consideriamo i precedenti di Olivelli al campo di Fossoli, si può capire quanto egli poteva rischiare in ogni mossa fuori dallo stretto concessoci dalle SS. L’inverosimile avvenne dopo, quando ci trasferirono a Flossenbürg. Egli restò sereno e si prodigò più di prima. Non si può credere ma si deve credere che egli diede la sua zuppa e il suo misero pane a chi riteneva più bisognoso di aiuto e a chi, vincendo ogni ritegno nell’abbandono dello spasimo materiale e spirituale si spingeva a chiedergliene».
Un ritratto di Teresio ai tempi del colleghio Ghislieri, a Pavia
«Credo che Olivelli - prosegue il pittore - non volesse agire deliberatamente così per morire, anzi, sentiva più che mai la necessità di collaborare ad un mondo nuovo. Solamente egli si sentiva forte, più preparato al terribile travaglio e sentiva il nobilissimo dovere di aiutare i più deboli di lui. Era certamente uno tra i più saldi moralmente ed anche fisicamente. Sicuramente se si fosse comportato anonimamente, come me e molti altri, non sarebbe morto. Credo di non sbagliare quando sostengo che, ridotto ormai male in salute, ancora si sentisse il più forte, se non altro perché provato dall’essere ancora tra i vivi e che da questo gli veniva il dovere di aiutare chi stava peggio di lui. Non credo che in lui sia mai sopravvenuto quella forma di deperimento cerebrale che prendeva tutti coloro che erano ridotti alle pure ossa ricoperte di pelle. Sostengo che sia stato sempre presente, lucido nel pensiero fino all’ultimo momento. L’aver donato le sue ultime cose in punto di morte ne è la conferma. La perfetta coerenza di tutta la sua vita. Si può rimpiangere che non sia tornato, lui che tanto meritava di tornare perché tanto avrebbe potuto fare per un mondo migliore. E quando si pensa che sono liberi tra noi i suoi e i nostri aguzzini… Certamente lui ci insegnerebbe ora a perdonare. Il bene si può costruire solo col bene, l’amore con l’amore, anche se chi è stato duramente provato dalla malvagità fa molta fatica a convincersene ed a uniformarsi a questa verità».
Sembra di sentire le stesse parole di padre Massimiliano Kolbe, martire ad Auschwitz, proclamato santo dalla Chiesa cattolica. «L'odio non serve a niente. Solo l'amore crea».
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