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musica
10 Gennaio 2022 - 17:51
La vita come opera d’arte irripetibile, fino all’ultimo giorno: l’8 gennaio 2016 usciva “Blackstar”, album in studio straordinario, complesso. Oltre quattro anni di strati sonori accumulati nei solchi. Non è il titolo esatto: quest’ultimo sarebbe un disegno, una vera e propria “stella nera”, ★. Fiati jazz, l’ultima folgorazione. Poi suggestioni dai musical di Broadway, chitarre distorte, ritmi sincopati, manti di droni elettronici. La ricerca, fino all’ultimo giorno, di un sound personale che né anticipa le mode, né le rincorre. Semplicemente, le legittima. Sette brani lunghi, niente di più, ed era l’anticipazione della fine.
David Bowie sarebbe morto appena due giorni dopo, il 10 gennaio 2016. Sei anni fa, circa. Impossibile pensare che non s’era fatto apposta: quell’album è uscito in concomitanza, come testamento. E, sempre per essere in tema di anniversari, il Duca Bianco avrebbe compiuto 75 anni pochi giorni fa. Candeline postume per il più grande trasformista del Ventesimo secolo.
Uomo, a volte donna, a volte entrambi: una figura in grado di dividere e di superare indenne gli eccessi di oltre cinquant’anni di carriera. Dagli esordi folk alla grande scoperta, quella del sound suggestionato dalla conquista della Luna. “Space oddity” è il primo successo, nel 1969, seguito da altre hit assolute e canticchiate da tutti come “Life on Mars?” o “Starman”. Era glam-rock, un genere frivolo che lui ha elevato ad arte. Intanto, durante gli album milionari, da mecenate David Bowie salvava la vita e rilanciava la carriera di Lou Reed, o Iggy Pop. Forse più talentuosi di lui, dal punto di vista strettamente compositivo, ma di sicuro meno attenti al marketing.
Pochi anni dopo è arrivata la “trilogia berlinese”. Sempre Bowie (al secolo David Robert Jones) all’ombra del Muro, con la produzione di un altro “vate” come Brian Eno, abbinava elettronica e quei suoni di disperazione latente per cristallizare quella che, di lì a poco, si sarebbe chiamata “new wave”. Lo studio di registrazione usato come strumento, canto austero, un’atmosfera futuristica che prevaleva sulla melodia. Il rilancio di una carriera che sarebbe continuata nella dance raffinata, nella sperimentazione pura, nella canzone sofisticata con un marchio di fabbrica inconfondibile, quello dell’eleganza. Nell’epoca del “post tutto” e del tramonto delle star, ancora bisogna festeggiare il compleanno postumo di David Bowie.
Space Oddity: la prima hit, il brano che lo ha lanciato nello spazio
The man who sold the world: anche i Nirvana, 20 anni dopo, hanno preso questo riff orientaleggiante per una delle loro cover più celebri
Life on Mars?: il ritornello più memorabile, la sintesi tra la composizione e il sogno
Starman: un "uomo delle stelle” diventato sia sigla di una trasmissione televisiva, sia canto della memoria collettiva
The Jean genie: il riff per eccellenza, quasi hard rock, per un ritmo incalzante
Rebel rebel: vedi sopra, ma forse ancora meglio
Warszawa: quasi avanguardia, il vertice epico e funereo di una carriera
Heroes/Helden: la canzone che conoscono tutti ma in tedesco, visto che è stata registrata all'ombra del Muro
Ashes to ashes: dance raffinata, per chi balla senza muoversi
I'm afraid of americans: la nuova giovinezza negli anni '90, da riscoprire
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