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16 Maggio 2022 - 09:43
Milano, via Francesco Cherubini, angolo con via Mario Pagano. Sono le 9.15 del 17 maggio 1972. Il commissario Luigi Calabresi abita poco distante e sta avviandosi alla sua auto per andare in ufficio, alla Questura di Milano. È lì, per strada, che il commissario viene assassinato da un commando di almeno due persone. Aveva 34 anni. Era padre di due figli. Il terzo nascerà pochi mesi dopo la sua morte.
17 maggio 1972, la scena del delitto a Milano in via Cherubini
Una morte annunciata, dato che il dirigente di polizia era diventato l’obiettivo di una durissima campagna politica e mediatica che lo individuava come responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, morto dopo un volo dalle finestre del quarto piano della questura di Milano durante le indagini sulla strage di piazza Fontana.
Luigi Calabresi con la moglie Gemma Capra nel giorno del matrimonio
“Calabresi assassino” era una scritta che si poteva leggere sui muri di tutta Italia, mentre una lettera aperta a L'Espresso sul caso Pinelli, che indicava il commissario come responsabile della morte dell’esponente anarchico,fu sottoscritta da 757 persone, gran parte delle quali appartenenti al mondo culturale italiano.
«… Ancora oggi quando leggo cosa scrivevano, anche contestualizzando ogni cosa, anche di fronte a uno Stato opaco e «nemico», non mi capacito di frasi come questa del 6 giugno 1970: «Questo marine dalla finestra facile dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito». O una pagina come quella uscita il 1° ottobre 1970, una settimana prima dell’inizio del processo per diffamazione contro «Lotta Continua», che presto si trasformò in un processo a mio padre: «Siamo stati troppo teneri con il commissario di Ps Luigi Calabresi. Egli si permette di continuare a vivere tranquillamente, di continuare a fare il suo mestiere di poliziotto, di continuare a perseguitare i compagni. Facendo questo, però, si è dovuto scoprire, il suo volto è diventato abituale e conosciuto per i militanti che hanno imparato a odiarlo. E il proletariato ha già emesso la sua sentenza: Calabresi è responsabile dell’assassinio di Pinelli e Calabresi dovrà pagarla cara».
Da “Spingendo la notte più in là”, di Mario Calabresi, giornalista, figlio di Luigi Calabresi
La vicenda Calabresi inizia in realtà il 12 dicembre 1969. È venerdì pomeriggio e alla sede della Banca Nazionale dell’agricoltura esplode una bomba che uccide 14 persone (salite a 17) e ne ferisce 88. Le indagini della Questura, coordinate dal commissario Luigi Calabresi della sezione politica vengono subito orientate verso la pista anarchica.
Il salone contrattazioni della Banca dell'Agricoltura dopo l'esplosione della bomba il 12 dicembre 1969
Fra i fermati c’è Giuseppe Pinelli, un anarchico non-violento che Calabresi stima e sa essere perfettamente estraneo alla strage. Viene arrestato Pietro Valpreda, un ballerino senza scritture, spesso in contrasto con Pinelli che viene trattenuto oltre i limiti di legge per avere la conferma della pericolosità di Valpreda. Dopo 3 giorni di digiuno e insonnia, Pinelli precipita la notte del 15 dicembre dalla finestra dell’ufficio di Calabresi. E il commissario finisce per essere identificato come il diretto responsabile. Si scoprirà poi che il commissario non era presente nella stanza. Il giudice istruttore D'Ambrosio stabilirà che la caduta di Pinelli fu causata da un "malore attivo": sentendosi male, l'anarchico si avvicinò alla finestra aperta e cadde nel cortile della Questura.
La strage di Piazza Fontana segna l'inizio della cosiddetta strategia della tensione, l'antipasto di quelli che verranno definiti gli anni di piombo. Uno scenario pieno di depistaggi ed entro il quale si muovono gruppi neofascisti, servizi segreti deviati. Chi ha messo la bomba di Milano? Una vicenda processuale infinita stabilirà alla fine le responsabilità degli estremisti di destra veneti Franco Freda e Giovanni Ventura.
Le lunghe e innumerevoli indagini hanno rivelato che la strage fu compiuta da terroristi dell'estrema destra, probabilmente collegati a settori deviati degli apparati di sicurezza dello Stato con complicità e legami internazionali i quali però non sono mai stati perseguiti. Nel giugno 2005 la Corte di Cassazione stabilì che la strage fu opera di «un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di Ordine nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», non più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo (ne bis in idem) dalla Corte d'assise d'appello di Bari nel 1987. Non è mai stata emessa una sentenza per gli esecutori materiali, coloro che cioè portarono la valigia con la bomba, che restano ignoti.
Un approfondito speciale TG1 del 1988 sul delitto Calabresi condotto da un giovane Enrico Mentana
28 LUGLIO 1988: Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi sono arrestati all'alba. Leonardo Marino, ex operaio Fiat ed ex militante di Lotta continua, accusa Sofri e Pietrostefani di essere i mandanti dell'omicidio del commissario Luigi Calabresi e Ovidio Bompressi di essere l'esecutore materiale. Leonardo Marino si autoaccusa in quanto autista dell'agguato. Altri ex dirigenti di Lotta Continua ricevono comunicazioni giudiziarie per concorso in omicidio.
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