Resta aggiornato
Cerca
a tavola
01 Aprile 2023 - 10:50
I ravioli: dove sono nati?
Basta mangiarli una volta per fare il paragone e rendersene conto. Pelmeni, pierogi, khinkali, manti, gyoza, maultaschen. Pasta ripiena di carne e aromi (ma a volte anche di altro, come patate) che profuma d’oriente e che, almeno nell’impasto, si somiglia sempre.
Come se ci fosse una “linea del raviolo” che partendo dalla Cina settentrionale, o forse dall’attuale Mongolia, sia arrivata in Europa. Poi ci sono le tantissime varianti di casa nostra: tortellini, agnolotti, plin, pansoti, marubini, casoncelli. I culurgiones sardi. Questi ultimi sono rivelatori. Come mai somigliano così tanto ai momos nepalesi? Per gli italiani, campanilisti su tutto e figurarsi sul cibo, è difficile ammettere che qualche nostra eccellenza sia in realtà originaria di qualche altra parte.
Sugli spaghetti non si saprà mai la verità: c’è chi dice che siano nati in Sicilia mille anni fa. Chi, invece, che fu Marco Polo a importarli dall’oriente e a diffonderli nella nostra Penisola. Chi, infine, che spaghetti italiani e noodles asiatici si siano evoluti in modo assolutamente indipendente. Sul raviolo la questione è ancora più spinosa, viste le tantissime varianti reperibili dappertutto.
In Italia dei ravioli parla già Giovanni Boccaccio nel suo “Decamerone”, 1353. Qualche secolo dopo anche il poeta genovese Paolo Foglietta li descrive come «capisaldi» della cucina ligure, in grado di far vacillare col solo profumo anche i temibili pirati saraceni. Ma il dilemma è amletico: un’invenzione del genio italico, in questo caso settentrionale, o un’ispirazione che viene da levante?
Di certo l'impasto, tra i ravioli asiatici e i nostri, è essenzialmente diversa. Più elastico e spesso il primo (oltre che senza uova), sottile e giallo il nostro. Chi mangia i jiaozi o gli xiao mai, quelli ripieni di gamberi e aperti in alto che si trovano in qualunque ristorante cinese, non può non accorgersene: la pasta è sempre identica anche se ci si sposta molto più a ovest. I pelmeni russi, ad esempio, piccolini e ripieni di carne, o i pierogi polacchi, che sono la stessa cosa (ma non diteglielo) però di dimensioni più ragguardevoli, hanno la medesima consistenza di quelli cinesi. E, più a sud, sono simili anche i khinkali georgiani, dove però dentro possono esserci anche formaggio e patate, e i manti turchi. Del resto i turchi, popolo nomade guerriero, vengono dall’Asia centrale. Da lì si è “diramata” la linea del raviolo.
Se poi sia arrivata anche in Italia, o se tutto da noi si sia sviluppato in modo parallelo ma slegato, non lo sapremo realmente mai. Si dice che i jiaozi siano stati inventati in Cina 1800 anni fa sotto la dinastia Han dal medico Zhang Zhongjing, come rimedio della medicina tradizionale cinese per curare il mal d’orecchie dovuto al freddo. Venivano serviti in brodo. Tuttora per il Capodanno cinese vengono cucinati ravioli a quintali, considerati «di buon auspicio». Un altro studio più attendibile li vuole nati in Mongolia sotto il nome di “mantou” (i “manti” turchi) e poi diffusi a destra e a sinistra lungo la via della Seta. C’è anche una - più remota - ipotesi persiana, una civiltà raffinatissima e poco considerata. Ma il bandolo finale della “linea del raviolo” rimarrà sempre un mistero.
L’Informatore Vigevanese - via Trento 42/b 27029 - Vigevano (PV)
Tel. 0381.69711 - informatore@ievve.com
Copyright(©) 2012-2024 Ievve S.r.l.
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI. NESSUNA RIPRODUZIONE PERMESSA SENZA AUTORIZZAZIONE
Powered by Miles 33