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Dietro le quinte del Teatro Olimpico di Vicenza: la magia della scena eterna

Lasciarsi trasportare nel mondo dell'illusionismo scenico e della perfezione architettonica del Palladio. Dopo l'arte la cucina: alla scoperta del "bacalà" alla vicentina

Davide Maniaci

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dade.x@hotmail.it

24 Giugno 2023 - 22:30

Il teatro più bello del Mondo

Come si fa a dire che non sia il teatro più bello del mondo? Durante le rappresentazioni l’atmosfera è unica, ma si può anche visitare vuoto. Semplicemente, ci si siede lì e si contempla per ore la cavea, la loggia, il fondale. Vicenza è una bella città, e il suo teatro Olimpico è il primo e più antico teatro stabile coperto dell'epoca moderna. La sua costruzione è dovuta al grandissimo architetto Andrea Palladio iniziò nel 1580 e venne inaugurato il 3 marzo 1585, dopo la realizzazione delle celebri scene fisse di Vincenzo Scamozzi.

Tali strutture lignee sono le uniche d'epoca rinascimentale ad essere giunte fino a noi, peraltro in ottimo stato di conservazione. 
La storia di un luogo che, davvero, vale un viaggio la si trova sullo stesso sito del teatro Olimpico, anche Patrimonio dell’umanità Unesco. «Nel Rinascimento un teatro non è un edificio a sé stante - come diventerà di prassi in seguito - ma consiste nell'allestimento temporaneo di spazi all'aperto o di volumi preesistenti; nel caso di Vicenza, cortili di palazzo o il salone del Palazzo della Ragione. Nel 1580 il Palladio ha 72 anni quando riceve l'incarico dall'Accademia Olimpica, il consesso culturale di cui egli stesso fa parte, di approntare una sede teatrale stabile. Il progetto si ispira dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio: una cavea gradinata ellittica, cinta da un colonnato, con statue sul fregio, fronteggiante un palcoscenico rettangolare e un maestoso proscenio su due ordini architettonici, aperto da tre arcate e ritmato da semicolonne, all'interno delle quali si trovano edicole e nicchie con statue e riquadri con bassorilievi. La critica definisce l'opera “manierista” per l'intenso chiaroscuro, accentuato tra l'altro da una serie di espedienti ottici dettati dalla grande esperienza dell'architetto: Il progressivo arretramento delle fronti con l'altezza, compensato visivamente dalle statue sporgenti; il gioco di aggetti e nicchie che aumentano l'illusione di profondità. Il Palladio appronta il disegno pochi mesi prima della sua morte e non lo vedrà realizzato; sarà il figlio Silla a curarne l'esecuzione consegnando il teatro alla città nel 1583. La prima rappresentazione, in occasione del Carnevale del 1585, è memorabile: la scelta ricade su una tragedia greca, l'Edipo Re di Sofocle, e la scenografia riproduce le sette vie di Tebe che si intravedono nelle cinque aperture del proscenio con un raffinato gioco prospettico. L'artefice di questa piccola meraviglia nella meraviglia è Vincenzo Scamozzi, erede spirituale del Palladio. L'effetto è così ben riuscito che queste sovrastrutture lignee diventeranno parte integrante stabile del teatro. Sempre allo Scamozzi viene affidata anche la realizzazione degli ambienti accessori: l'Odeo, ovvero la sala dove avevano luogo le riunioni dell'Accademia, e l'Antiodeo, decorati nel Seicento con riquadri monocromi del valente pittore vicentino Francesco Maffei.

La fama del nuovo teatro si sparge prima a Venezia e poi in tutta Italia suscitando l'ammirazione di quanti vi vedevano materializzato il sogno umanistico di far rivivere l'arte classica. Poi, nonostante un avvio così esaltante, l'attività dell'Olimpico venne interrotta dalla censura antiteatrale imposta dalla Controriforma e il teatro si riduce a semplice luogo di rappresentanza: vi viene accolto papa Pio VI nel 1782, l'imperatore Francesco I d'Austria nel 1816 e il suo erede Ferdinando I nel 1838. Con la metà dell'Ottocento riprendono saltuariamente le rappresentazioni classiche, ma si dovrà attendere l'ultimo dopoguerra, scampato il pericolo dei bombardamenti aerei, per tornare seriamente a fare spettacolo in un teatro che non ha uguali al mondo».

IL BACALA' ALLA VICENTINA


Per far capire quanto si faccia sul serio, basti sapere che esiste una confraternita che tutela la ricetta con le unghie e con i denti. La confraternita del Baccalà alla vicentina, anzi “bacalà” con una C come dicono qui, fornisce la ricetta codificata. Si cucina così, punto e basta, e qualcuno osi dire il contrario. C’è un po’ di confusione per chi non vive in Veneto. Il “baccalà” è il merluzzo salato, lo stoccafisso quello essiccato. Ma qui per “bacalà” si intende… lo stoccafisso, e quest’ultimo viene utilizzato. «Sul bacalà alla vicentina – si legge nel sito – si può parlare e discutere per ore ed ore: sulle sue origini, sulla sua popolarità, esclusività, tempo di esecuzione, accostamento di vini e risultanze gastronomiche. Ma una cosa è certa: è la vera testimonianza della capacità inventiva dei vicentini che sanno, da ogni cosa, cogliere l’occasione per realizzare con pazienti espedienti cose egregie in ogni campo ma specialmente in cucina. Da un pesce legnoso e stopposo come lo stoccafisso, battuto, bagnato, cotto, aggiustato con infinita pazienza, riescono a realizzare piatti stupendi. La ricetta classica del bacalà alla vicentina, ritrovata e convalidata in tante riunioni di studio della Confraternita del Bacalà, che ha la sua sede istituzionale in Sandrigo, è certamente una e unica. Ma nella fantasia che l’arte della gastronomia sviluppa, le varianti sono moltissime. C’è chi lega i tranci di sviluppo a rotoli, chi nega l’abbondanza dell’acciuga e della cipolla ottenendo un piatto più delicato ma meno saporito, chi abbonda nel latte schiarendo l’aspetto del piatto, chi l’aglio lo trita e chi lo estrae intero a mezza cottura, chi ritiene indispensabile quattro o anche cinque ore di lenta cottura, chi tre soltanto, chi i tranci di merluzzo li passa nella farina e chi no…. Su di un punto sono tutti d’accordo: l’olio di cottura deve essere della migliore qualità, abbondante, ed il bacalà non deve mai essere rimescolato. Solo così queste variazioni al tema del bacalà alla vicentina daranno risultati stupendi e daranno altresì motivo di lunghe, dotte e bonarie discussioni che spazieranno certamente anche al difficile tema dell’accostamento del piatto ai vini, accostamento estremamente soggettivo e mutevole”.


LA VIDEORICETTA DELLA CONFRATERNITA

Ingredienti per 12 persone:

Kg 1 di stoccafisso secco – gr. 250/300 di cipolle

1/2 litro di olio d’oliva extravergine

3 sarde sotto sale

½ litro di latte fresco – poca farina bianca

gr. 50 di formaggio grana grattugiato

un ciuffo di prezzemolo tritato

sale e pepe

Preparazione


Ammollare lo stoccafisso, già ben battuto, in acqua fredda, cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni.

Aprire il pesce per lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi.

Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le sarde sotto sale, e tagliate a pezzetti; per ultimo, a fuoco spento, unire il prezzemolo tritato.

Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorati con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cotto o alluminio oppure in una pirofila (sul cui fondo si sara’ versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, il grana grattugiato, il sale, il pepe.

Unire l’olio fino a ricoprire tutti i pezzi, livellandoli.

Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare.

Questa fase di cottura, in termine “vicentino” si chiama “pipare”.

Solamente l’esperienza saprà definire l’esatta cottura dello stoccafisso che, da esemplare ad esemplare, può differire di consistenza.

Il bacalà alla vicentina è ottimo anche dopo un riposo di 12/24 ore. Servire con polenta.

Sul sito c’è anche l’elenco di tutti i ristoranti che propongono la ricetta chiarita dalla Confraternita. Su quale consigliare, è meglio essere prudenti: non si scherza sul baccalà alla vicentina.

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