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diari di viaggio

Delizie di strada a Palermo: un'avventura culinaria tra i tesori di una città unica

Gusti e profumi del capoluogo siciliano: magica fusione di storia, cultura e bellezze, tra maestose architetture e vibrante vita di strada

Davide Maniaci

Email:

dade.x@hotmail.it

01 Luglio 2023 - 22:31

Delizie di strada a Palermo: un'avventura culinaria tra i tesori di una città unica

Lo “street food” esiste da centinaia di anni, ben prima che diventasse un termine di moda. Forse la chiave di tutto è proprio Palermo. Città bella da fare impressione, sottovalutata, dove edifici fatiscenti condividono una parete con chiese dall'interno sfarzosissimo. Qui c'è una cucina unica (nel senso che già a 20 chilometri di distanza non si trova più): baracchini all'interno dei mercati che propongono di tutto. Poco importa se le condizioni igieniche, o l'olio per friggere, non sono sempre cristalline. Fa parte del gioco. Mangiare e visitare: un connubio perfetto per un tour che può anche essere fatto in giornata, ma è meglio (per lo stomaco e per i piedi) diluirlo.

Piazza Pretoria

L'epicentro è piazza Pretoria, detta anche "della vergogna" per via delle parti intime in bella vista esibite dalle statue. Lì, a poca distanza, c'è (quasi tutto). Bisogna premettere subito come Palermo abbia una delle più alte densità di cose da vedere in Italia, pari forse solo a Venezia: non è possibile segnalare qui le gemme nascoste. Questo è un giro rapido e mainstream che passa dai Quattro canti, cioè l'incrocio monumentale delle vie Vittorio Emanuele II e Maqueda, e soprattutto dalle tre chiese adiacenti ma diversissime di Santa Maria dell'Ammiraglio (per tutti è "La Martorana"), San Cataldo e Santa Caterina d'Alessandria. La prima, bizantina, è piena di mosaici d'oro. La seconda è arabo-normanna, con le cupole rosse e spoglia all'interno. La terza, recentemente riaperta, è uno straordinario esempio di barocco bianco e nero. La visita guidata, obbligatoria, permette di ammirare anche il monastero che offre una bellissima vista panoramica sulla città, e ristorarsi nella pasticceria delle monache.

I Quattro Canti

Santa Maria dell'Ammiraglio

San Cataldo

Santa Caterina

Il mercato di Ballarò esiste da un migliaio di anni e non ha mai cambiato la sua ubicazione: nel quartiere povero, chiamato Al- bergheria, in pieno centro storico, non lontano da tutte queste attrazioni. C'è un uomo che urla: «bollito, bollito!». Si entra quasi senza volerlo in un bugigattolo e compare nel piatto un miscuglio di interiora di manzo. È la quarume, al femminile. Brodo saporito condito con carote, alloro e prezzemolo. Le interiora consistono nei quattro stomaci dell’animale, più l’ovaia e l’intestino tenue. Il sapore varia da pezzo a pezzo e si avvicina da quello più rassicurante della trippa a quello decisamente più complesso dell’ovaia. È da qui che si capisce chi fa sul serio.

Sempre a Ballarò, a pochi metri, ecco un venditore con un cesto coperto da un panno. Guardare dentro è impossibile. C'è solo al mattino, e mai di domenica. Serve le frittole. «Gli scarti degli scarti degli scarti». E se avete visto cosa mangiano, figuratevi cosa scartano. I pezzetti di carne dopo la lavorazione rimasti sulle ossa vengono staccati con un procedimento meccanico, fatti poi rinvenire nello strutto al momento di servire ed aromatizzati con pepe, alloro, zafferano e una spruzzata generosa di limone. Sanno di ciccioli morbidi. Sono buonissimi.

Non c'è solo il cibo-pulp, ovviamente. Palermo è celeberrima per le panelle e le crocchè, spesso servite in coppia nel piatto, o in un panino soffice. Le prime sono frittelle a base di farina di ceci, celebrate in tutto il mondo e spesso riproposte in versione gourmet. Le crocchè, lo dice il nome, sono crocchette di patate fritte e ripiene di menta. Si trovano ovunque.

C'è anche lo sfincione, che si trova nei carretti degli ambulanti o in tanti panifici. Si tratta della “pizza palermitana”: focaccia spugnosa condita con pomodoro, acciughe, cipolla, origano e caciocavallo grattugiato.

Ultime ma non ultime le arancine, qui rigorosamente al femminile. Le più grosse e famose sono quelle del bar Touring. Per le migliori è impossibile decidere. Ultimamente alcuni negozietti gestiti da giovani le propongono in versione contemporanea. Il locale Sfrigola le cuoce a vista.

Alla Vucciria, un tempo mercato vastissimo imortalato in un quadro di Renato Guttuso e ora ridotto a una piazza (e di notte piccolo rave party con localini a basso costo) si vede dall'ora di pranzo in poi del fumo biancastro. Griglie che ne hanno viste tante cuocciono le stigghiole, il budellino dell'agnello infilzato in spiedoni. Forse, come sapore puro, la portata migliore del lotto. Sale, limone e basta. Non per tutti. Poco più in là pescherie attrezzate con piastra o brace offrono insalate di mare fatte al momento, orate o calamari grigliati, cozze e ostriche.

Onnipresente è anche il panino con la milza, forse lo street food più peculiare. Oltre alla milza ci sono polmone e trachea (questi ultimi non sanno di niente, danno croccantezza e mitigano): qui piace moltissimo, sia nella versione “schietta” sia in quella “maritata”. Vuol dire, senza formaggio o con. Il critico gastronomico Andrew Zimmern, mattatore del programma tv “Orrori da gustare”, diceva di «adorarlo», nonostante fosse «maleodorante». Bisogna assaggiarlo, non c'è niente da fare.

A circa metà strada tra il mercato di Ballarò e quello della Vucciria si trova un'altra chiesa imperdibile. Da fuori, come spesso accade qui, non gli dai due lire. Dentro si cambia idea. Barocca, la chiesa del Gesù (o "Casa Professa") è una visita imprescindibile in una pausa tra uno spuntino e l'altro.

Percorrendo corso Vittorio Emanuele II, la via principale in direzione nord-sud, che dal mare taglia in due tutto il centro, ci si imbatte nella cattedrale. Pedonale, leggermente in salita, pienissima di locali e negozi di tutti i tipi (c'è perfino una rivendita di tuniche per sacerdoti), si arriva alla cattedrale. Certo, dentro tutto sommato non è granché, visti anche gli interni di altri luoghi sacri della città. Ma fuori...

Più avanti ancora l'altro "must", quello sistematicamente al primo posto in tutte le guide e le classifiche: la Cappella palatina, dalla storia quasi millenaria, è il punto di arrivo della nostra visita perché semplicemente non ci può essere niente che la superi in meraviglia.

Il mercato più ruspante di Palermo è quello del Capo, defilato, dietro alla cattedrale (bisogna immaginarselo: si arriva da un vicolo malmesso, davanti c'è quello spettacolo). Lì, oltre agli ubiqui venditori di polpo bollito freschissimo e di quarume, si trova il chiosco del signor Gioacchino. Propone “musso e carcagnolo”. Un'insalata composta da cartilagine di zampe di vitello, il carcagnolo, e da ritagli delle parti magre della testa del vitello, condite con olio limone etc.

Ma non è tutto: ogni parte meno nobile del vitello può essere ordinata, dall'orecchio (croccante) alla mammella (mah) a organi decisamente più particolari, che lui offre solo a chi gli è simpatico. La qualità, anche se sembra strano crederci, è assoluta. Il cibo è cultura: viaggiare significa assaggiare, conoscere, provare, senza paura.

Sarà difficile pentirsene. Poi ci sono i dolci, che meritano un capitolo (o un libro) a parte. Sullo sfondo c'è una città baciata dal sole, dal vociare, da vestigia fantastiche e ancora non così contaminata dal turismo di massa. Come se fossero gli Dei a volerla custodire per sempre.

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