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04 Novembre 2023 - 21:00
Approfondiamo anche le occasioni gastronomiche: il Rijsttafel indonesiano e il suo legame con periodo del colonialismo olandese. Dove gustarlo, i migliori ristoranti
Sotto l’altalena c’è il vuoto, cento metri di niente prima del mare del Nord. Ma se uno ha la forza di non guardare giù, il panorama è di tutto rispetto. Amsterdam, i canali, i polder, le case dai tetti aguzzi. Tutto sembra piccolissimo. Forse è proprio un giro su Over the edge la cosa più frizzante da fare nella capitale dei Paesi Bassi. L’altalena più alta d’Europa si trova di fronte alla stazione centrale, ma dall’altra parte del fiume Ij. Prima la A’Dam Toren era la sede della Shell. Adesso in cima c’è la A’Dam Lookout, la piattaforma panoramica, una terrazza esclusiva con anche l’altalena. Si tratta di una grande seduta (tipo seggiovia), manovrata da un braccio idraulico, che permette di oscillare nel vuoto a quasi 100 metri d’altezza. Un’esperienza adrenalinica e curiosissima, pensata per mostrare, in maniera innovativa e anticonvenzionale, la città dall’alto.
Dopo l’inaugurazione nell’agosto 2016 la sua popolarità è cresciuta al massimo, nonostante i prezzi… olandesi, non proprio popolari. E così, mentre tutti aspettano il tramonto – le 16 d’inverno, le 23 a giugno – perché la luce offre quei panorami da cartolina o da Instagram, altri si fermano a riflettere e credono che sì, dondolarsi a cento metri d’altezza quasi sospesi nel vuoto con una città letteralmente ai propri piedi sia davvero uno dei momenti perfetti di una vacanza. Forse più dei tantissimi musei, più dei celebri formaggi olandesi, più perfino dei coffee shop. Si torna bambini con un gioco semplicissimo, quello dell’altalena, ma sentendosi viaggiatori navigati.
LA CHIESA NELLA SOFFITTA
Da fuori non si vede. Per forza: non doveva vedersi. Uno dei luoghi più segreti e affascinanti di Amsterdam è Ons' Lieve Heer op Solder. Tradotto significa, letteralmente, “Nostro Signore del sottotetto”. Com’è possibile? Si trova in pieno centro, negli ultimi piani di una casa privata in modo tale da rendere del tutto impossibile riconoscere dall'esterno la presenza di un luogo pubblico di culto in quello che ha l'aspetto di un normale edificio residenziale. Si tratta di un esempio paradigmatico di "chiesa clandestina", cioè di una di quelle chiese dissimulate all'interno di architetture laiche nelle quali il culto cattolico, benché nel XVII secolo fosse ufficialmente proibito dalle leggi delle Province Unite olandesi, era di fatto tollerato purché all’interno, non percepibile da fuori. L'edificio è riconosciuto dallo Stato olandese come rijksmonument, ossia come monumento storico del regno. Infatti è visitabile. Le stanze private che circondano la chiesa vera e propria conservano l'aspetto che avevano nel XVII secolo, mentre la chiesa stessa, il cui aspetto si era evoluto significativamente nei decenni successivi alla sua fondazione, è stata conservata come appariva nell'anno 1862 quando era ancora completamente funzionante: si decise di ripristinare tutti gli oggetti religiosi che erano stati utilizzati nei due secoli di esistenza della chiesa e fu anche ripristinato il colore che la chiesa aveva a quei tempi. Una ricerca approfondita sui colori ha determinato questa tinta: un rosa antico che è stato poi usato in tutte le altre stanze della casa. Siccome qui ci abitavano famiglie borghesi, tra gli altri oggetti della casa il museo contiene mobili olandesi pesanti, orologi da tavola e due cucine con piastrelle di Delft.
MANGIARE BENE? SCEGLIETE LA CUCINA INDONESIANA...
Chi è stato ad Amsterdam lo sa. “Mangiare tipico” significa o ingozzarsi di formaggio gouda, o finire in ristoranti in cui il piatto più eccitante è un polpettone, o ripiegare sugli onnipresenti chioschi di aringhe crude sui canali, che saranno la cosa più buona e soprattutto economica. C’è un rifugio (i fast food non sono neanche considerati): la cucina delle colonie. I Paesi Bassi possedevano tra gli altri Suriname e Indonesia. Se la cucina del Suriname è monotona e poco interessante, perché non va molto oltre il roti – è un pane farcito con carne al curry – non è così per quella indonesiana. Arcipelago composto da 17.508 isole, ognuna ha dei piatti diversi. Una scelta sconfinata. Qui subentra la grande storia. Gli olandesi arrivarono in quelle terre nel 1602 fondando Batavia, ora Giacarta. Per legittimarsi agli occhi della popolazione occupata, gli olandesi ebbero un'idea singolare ma, in un certo senso, perfettamente logica: creare una tradizione culinaria unendo tutte quelle delle varie isole che compongono l'Indonesia, riadattandola con nuovi ingredienti (sia i loro, sia quelli introdotti dalle altre colonie) e sovrapponendola a un modo popolarissimo, indonesiano, di servire i cibi: il nasi padang, ossia un banchetto con numerose portate (da 12 a 40) di scarse porzioni, in piatti a forma di barchette. Assemblare le numerose cucine non fu certamente semplice, dato che erano spesso diversissime ed inconciliabili tra di loro; solo per questo motivo si può trovare accettabile accostare il satay, dall'isola di Giava (spiedini di carni varie cotti alla griglia, marinati nella curcuma e cocco e serviti in salsa di arachidi) col rendang, sorta di spezzatino di manzo fatto riposare a lungo in latte di cocco, zenzero, tamarindo e lemongrass, tipico dell'isola di Sumatra. O il nasi goreng, di origine incerta (forse malese), riso fritto servito tiepido, con il semur, stufato di manzo importato direttamente dai Paesi Bassi a cui poi furono incorporati tofu e tempeh, semi di soia fermentati. L'idea di questo super-miscuglio di tradizioni servite in un unico pasto fu all’apparenza vincente: prese il nome di Rijsttafel (da pronunciarsi, circa, "reiistafal") diventando l'emblema del colonialismo olandese in quelle zone, relativamente integrato con le usanze locali e, anzi, capace di crearne una sintesi che rinforzasse l'armonia tra i popoli. Fu addirittura creato ad hoc un cerimoniale complesso ed articolato per servire le varie portate. In realtà le cose andarono diversamente, e l'epilogo paradossale istruisce bene come in nessun modo la conquista e il dominio delle popolazioni con la forza possa poi tramutarsi in amicizia o accondiscendenza; dopo l'indipendenza indonesiana del 1945, il Rijsttafel sparì quasi completamente dai ristoranti e dalle tavole di questa parte di mondo. Certamente anche per il costo, certamente anche per la cerimonia estranea alle loro radici culturali; ma perché, appunto, era un modo di mangiare “olandese”, nonostante usasse ingredienti del posto. E la cultura olandese non era più gradita, semmai lo fosse stata in passato. Allo stesso modo ad Amsterdam aprirono tantissimi ristoranti "indonesiani" che servivano Rijsttafel, gestiti sia da immigrati dalla ex-colonia sia, talvolta, da olandesi, che continuano tuttora una fiorente attività. Consigliare dove mangiare il miglior Rijsttafel ad Amsterdam è arduo. Due indirizzi: Blauw, posto storico. Tujuh Maret, a conduzione familiare, un po’ meno caro.
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