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Esplorando la Transilvania: alla scoperta del Castello di Bran e della storia del conte Dracula

Scopriamo la vera identità di Vlad III di Valacchia Hagyak, l'Impalatore, e il suo ruolo nelle guerre tra mondo cristiano ed ottomani

Davide Maniaci

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06 Gennaio 2024 - 21:00

Esplorando la Transilvania: alla scoperta del Castello di Bran e della storia del conte Dracula

Qui lo pronunciano “Dracùla”, con l’accento sulla U, con un suono che magari per un italiano può apparire buffo. Di certo in Romania il conte più famoso di tutti i tempi, che ispirò la penna di Bram Stoker, non è considerato un personaggio sinistro e sanguinario, bensì un eroe nazionale che salvò la cristianità dalla dirompenza dei temibili ottomani. Paese che vai figure che trovi, ed è forse proprio il giro della Transilvania, montagne scure e fredde, la cosa più interessante da fare in Romania.

Il castello di Bran, il più visitato di tutta la nazione, è una bella fortezza medievale a circa un’ora da Bucarest. La salita ripida non è per tutti, e spiace un po’ vedere le centinaia di bancarelle ammassate a valle che cercano di sfruttare l’immagine del celebre vampiro vendendo paccottiglia di gusto estremamente discutibile al turismo di massa. Cercando di andarci fuori stagione, del castello si apprezzano soprattutto le vedute (ha più di 700 anni), le stanze in pietra, le collezioni della famiglia reale a cui appartiene ancora il sito.

Per Bran tutto cambiò nel 1897, quando la Transilvania fu scelta da Stoker come ambientazione del suo celebre romanzo gotico “Dracula”, il cui personaggio principale, il conte Dracula, dimora in un castello immaginario. Sebbene Stoker non abbia mai visitato la Romania, la descrive come una terra arretrata, disseminata di piccoli villaggi medievali terrorizzati da vampiri dimoranti in castelli gotici. Nella seconda metà del XX secolo in ambito turistico quello di Bran è stato percepito sempre più come il “castello di Dracula”. Collocando la storia di Dracula in una terra da sempre multietnica come la Transilvania, Bram Stoker riesce a collegare il protagonista con alcune delle figure più sanguinarie, almeno stando alla vulgata, della storia europea: Attila, capo di una grande confederazione di Unni (iniziatori dello stato dell'Ungheria), e i temutissimi Vichinghi di stirpe germanica. Pertanto nell'immaginario collettivo la storia di Dracula è indissolubilmente legata a Bran. L’ispirazione suprema è stata Vlad III di Valacchia Hagyak: “Dracula”, o meglio “Drăculea”, è il suo patronimico: significa “figlio del Diavolo”.

Uno stinco di santo dunque non doveva esserlo, questo Vlad, conosciuto come “Tepes”, l’Impalatore. Era principe di Valacchia. Figurava come un principe appassionato di torture e morti lente, che per cena beveva il sangue delle sue vittime o v’inzuppava il pane. Si calcola che nei tre periodi in cui governò, per un totale di appena sette anni, mise a morte 100 mila persone, nella maggior parte dei casi per impalamento. All’epoca l’impero ottomano era in piena fase espansiva nel sudest d’Europa: la Grecia fu sottomessa intorno al 1360, la Serbia dal 1389 e la Bulgaria nel 1396. Agli ottomani si opponevano il regno di Ungheria e i principati in cui era divisa l’attuale Romania: Valacchia e Moldavia, oltre alla Transilvania, territorio autonomo appartenente all’Ungheria. Le guerre di frontiera divennero costanti: guerre di straordinaria violenza, in cui le esecuzioni e le rappresaglie di massa erano all’ordine del giorno. Vlad di Valacchia era figlio di questo ambiente, e la sua vita fu una continua lotta per la sopravvivenza e il potere. La sua fama è legata soprattutto ai metodi che impiegò in guerra. Da quando nel 1460 rifiutò di pagare tributo ai turchi, lo scontro armato divenne inevitabile, assumendo le tinte di una crociata, brutale e sanguinaria come quelle svoltesi in Terra santa nei secoli precedenti.

“In risposta a un’offensiva turca – si legge in un articolo di National Geographic – Vlad attraversò il Danubio per saccheggiare la Bulgaria, che allora faceva parte dell’impero ottomano. Al termine della campagna inviò al re ungherese Mattia Corvino due sacchi pieni di orecchie, nasi e teste mozzate. “Abbiamo ucciso 23.884 turchi e bulgari – scriveva proprio Vlad – senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o quelli le cui teste sono state tagliate dai nostri ufficiali… Finiremo insieme ciò che insieme abbiamo iniziato, e trarremo beneficio da questa situazione, giacché, se Dio Onnipotente ascolta le preghiere e le orazioni della cristianità, se accoglie le suppliche dei suoi pii servitori, ci concederà la vittoria sugli infedeli, nemici della Croce”. La sua severità diede adito a storie come quella della coppa d’oro che lasciò davanti alla sua residenza a Tirgoviste perché i viaggiatori potessero dissetarvisi: tale era la paura ispirata dal governatore che nessuno osò mai rubarla. In ogni caso, le fonti riportano che Vlad poteva toccare le vette del macabro, prolungando l’agonia dei condannati e usando i corpi degli impalati come terrificante monito. L’esempio più noto è il cosiddetto bosco degli Impalati, un luogo in cui si dice che Vlad fece tagliare tutti gli alberi per impalare più di 20mila prigionieri. Nel 1462 Vlad fu sconfitto dai turchi. Trascorse dodici anni prigioniero in Ungheria, finché nel 1476 recuperò il ruolo di erede al trono di Valacchia. La sua terza tappa da voivoda si concluse quando fu abbattuto da un’imboscata turca. La sua testa fu esposta a Costantinopoli e il corpo seppellito nel monastero del lago Snagov”.

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