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Valencia: un'immersione tra contrasti e meraviglie nella città che fonde alla perfezione antico e moderno

La straordinaria "Città delle arti e delle scienze" ricavata dal greto di un fiume. E poi paella a volontà, quella classica senza pesce

Davide Maniaci

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dade.x@hotmail.it

13 Aprile 2024 - 10:27

Valencia: un'immersione  tra contrasti e meraviglie nella città che fonde alla perfezione antico e moderno

Non si può che arrivare in centro dalla stazione Nord (in realtà è a sud del centro, paradossi latini), un gioiello in stile liberty in cui varrebbe la pena scendere anche se il proprio treno andasse da un’altra parte.

Si è in centro in pochissimi minuti, nella splendida plaça de l'Ajuntament (piazza del Municipio) da cui si dirama tutto. Valencia è come se fossero due città: la parte vecchia, comunque rimessa a lucido dopo decenni di decadenza, e poi la straordinaria Città delle arti e delle scienze, architettura contemporanea ricavata attraverso un gioco di colori tra l'azzurro dei grandi stagni d'acqua a cielo aperto e il bianco del cemento.

Una “città nella città” dalla quale si arriva anche a piedi, camminando nel greto di un fiume – il Tùria – ormai prosciugato e diventato un parco pubblico. Edifici come l’acquario più grande e bello d’Europa, il Planetario, una piazza coperta. Perfino il parcheggio, l’Umbracle, è bellissimo. Vale la pena andarci col sole per godere dei riflessi degli edifici sull’acqua, per cercare la foto perfetta nel blu dipinto di blu. Ma qui il sole c’è praticamente sempre.

Tornando in centro, tra mercati in cui si mangiano tapas (il migliore è quello Centrale), suggestioni medievali come la Lonja de la seta e viuzze, si cerca il santo Graal. Chiaramente bisogna sforzarsi un po’ per crederci del tutto, ma qui la cosa è presa parecchio sul serio. La coppa sacra che avrebbe contenuto il sangue di Cristo è ben visibile dentro una meravigliosa cappella a pianta quadrata con pareti di pietra lavorata all’interno della cattedrale di Valencia. Intorno alla teca dove è custodito c’è un grande altare di alabastro, con i 12 apostoli e al centro la Vergine che ascende al cielo. In questa cappella hanno pregato papi, re e imperatori oltre che ogni anno milioni di pellegrini. La coppa in agata corallina datata I Secolo sarebbe arrivata qui tramite San Pietro, da Roma, e poi San Lorenzo, spagnolo. Durante la Guerra Civile Spagnola leggenda vuole sia stato conservato dalla gente di Valencia che se lo passava di casa in casa per farne perdere le tracce.

LA PAELLA - QUI IL PESCE NON CI VA...

La premessa è che i valenciani la paella la cucinano a pranzo. Quindi per sentirsi davvero local bisogna sedersi alle 13,30 (prima nel ristorante stanno pulendo) e possibilmente non in centro. L’altra premessa è che tutti i locali che servono la paella sono pieni di turisti: i valenciani la cucinano a casa, non vanno certo a mangiarla fuori. Quanti di voi ordinerebbero le lasagne al ristorante, quando le mangiano dalla nonna? Appunto.

La paella è praticamente l’unico piatto che molti conoscono di Valencia o addirittura della Spagna. È stata stuprata in ogni modo possibile e si trova anche in improbabili locali in Italia o in giro per il mondo, con le ricette più diverse. “Paella”, innanzitutto, è il nome della pentola in cui viene cotta, una larghissima padella circolare a due manici. Inoltre è un piatto di recupero, coi prodotti della terra. La ricetta originale vuole coniglio, pollo, taccole, fagioli, lumache, rosmarino: niente a che vedere con le opulente portate ricche di molluschi e gamberoni che siamo abituati a vedere. Il mare è arrivato dopo, quando c’era ricchezza e quando sono arrivati i turisti, più schizzinosi ed abituati a prodotti nobili.

Il riso, lo sanno tutti, è stato portato dagli arabi nell’anno 900, prima in Sicilia e poi nel resto dell’Europa in loro possesso. Andati via loro, è rimasto il riso. Si dovrebbe usare la variante “bomba”, che in Italia costa 10 euro al chilo ed in Spagna circa un quarto. È molto raro, si coltiva nel delta del fiume Ebro, tra Valencia e Barcellona. Molti usano altre varianti del cereale, più generiche. Fino ai primi del ‘900, come quasi tutti i piatti “tradizionali” che poi tradizionali non sono, la ricetta non era codificata. Si usava quel che c’era nella miseria assoluta: arvicole (sì, i topolini), anguille, lumache, carciofi, per poi diventare quella che conosciamo oggi, con tutte le varianti del caso. Se è veramente facile essere fregati mangiando a prezzi medio-alti una paella preparata una settimana prima e riscaldata, è anche semplice trovare dei locali in cui tutto è realizzato a regola d’arte. Uno ottimo è Levante, non lontano dalla fermata della metropolitana 9 de Octubre. Prenotate prima la paella: ci mettono un’ora a farla. Non ordinate antipasti. Non perché non siano capaci di farli, ma perché già la paella per due (valenciana, classicissima, impeccabile) non riuscirete a finirla. Neanche con una caraffa di sangria, il celeberrimo vino speziato di queste parti, che qui è particolarmente pulita nel sapore.

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