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MORTARA
18 Settembre 2023 - 15:28
Il rogo era doloso. Oggi (lunedì) è arrivata nel pomeriggio la sentenza di condanna a 4 anni di reclusione del Tribunale di Pavia (giudice monocratico Elena Stoppini) nei confronti di Vincenzo Bertè, 56 anni, ex titolare dell’impianto di via Fermi a Mortara. Il giudice ha anche riconosciuto una provvisionale di 50mila euro al Comune di Mortara che si era costituito parte civile.
Il rogo all'interno della Eredi Bertè di Mortara divampò il 6 settembre di sei anni fa
Il rogo del 6 settembre 2017 provocò un allarme non solo in città, ma in tutta la Lomellina e assunse una risonanza nazionale. Oggi i fatti sono stati rievocati e nella sua requisitoria il pubblico ministero Paolo Mazza ha chiesto per l’imputato 5 anni di reclusione per incendio doloso. L’avvocato di parte civile del Comune di Mortara Anna Maria Ghigna ha ribadito i danni di entità grave, esponenziali, per il discredito in cui è stata gettata la città, definita “terra dei fuochi”. La richiesta risarcitoria è stata di 400mila euro a cui si è aggiunta la cifra di 184,89 euro calcolata per alcuni straordinari effettuati dai dipendenti comunali. Anche Futuro Sostenibile, associazione ambientalista costituitasi parte civile con l’avvocato Loriana Zanuttigh, ha aderito confermando sia le richieste del Pm che quelle del Comune di Mortara. A questa associazione sono stati riconosciute spese legali per 25mila euro.
Nell’arringa difensiva la legale di Vincenzo Bertè, Perla Sciretti, ha sostenuto che l’impianto accusatorio non ha ragione di essere confermato e ne ha chiesto l’assoluzione. Lo ha fatto appoggiando sulla scrivania, per tutto il tempo del suo intervento, l’accendino nero, che sarebbe stato - come indicato nella lunga serie di udienze - l’oggetto con cui Bertè ha appiccato nelle prime ore del mattino del 6 settembre di sei anni fa, il fuoco al capannone della carta, all’interno della sua azienda. Accuse senza fondamento, secondo la difesa.
L'incendio provocò non solo allarme a Mortara, ma anche in buona parte della Lomellina
Determinante, nel corso del processo, la testimonianza della moglie di Vincenzo Bertè, Sabrina Zambelli, che ha indotto il pubblico ministero - da alcuni mesi - a richiedere di modificare il capo di imputazione da colposo a doloso. I motivi che avrebbero portato il titolare dell’azienda ad appiccare il fuoco sono stati ampiamente ricordati dal Pm. Nel sito ormai erano stoccati 17mila metri cubi di materiale raccolto indifferenziato, mentre ne potevano essere accolti solo 6800 metri cubi. Una situazione irreversibile, a cui non si poteva far fronte se non appiccando il fuoco. Un fatto confermato dalla testimonianza della moglie di Bertè. Ma anche la presenza di un muletto in una posizione anomala, ovvero nel magazzino della carta, così come la presenza del cancello esterno aperto sono state circostanze concordanti da parte di vari testi e sostenute a vario titolo dall’accusa.
Indipendentemente dalla ricerca dell’autore materiale del rogo, però, le condizioni del sito con il materiale presente in maniera quasi tripla al consentito ha indotto il Pm ha sottolineare anche le cause colpose di una situazione ormai al limite del sostenibile. E quel 6 settembre era prevista la visita ispettiva dell’Arpa, rinviata da luglio, quando Bertè era stato ricoverato in ospedale per dei controlli. Un momento non più dilazionabile. Essenziale per scatenare la decisione, secondo l’accusa. Non determinante invece, secondo la difesa.
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