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13 Ottobre 2017 - 16:28
«Quando pensiamo solo a noi stessi, siamo tristi. Quando pensiamo a quello che possiamo fare per gli altri, allora la vita è bella!». Questo il messaggio lanciato da Simonetta Agnello Hornby, ieri pomeriggio, nel suo intervento di apertura della sedicesima edizione della Rassegna Letteraria di Vigevano. Insieme al figlio George - che da quindici anni convive con la sclerosi multipla - ha presentato "Nessuno può volare": il loro viaggio (che è anche libro e docufilm) dalla Sicilia a Londra tra le bellezze artistiche per racconta la disabilità attraverso la lente della cultura, dell’arte e della storia, intrecciata alla loro storia familiare. Una famiglia in cui l'autrice è cresciuta con la consapevolezza che si è tutti normali, ma diversi, «ognuno con le proprie caratteristiche, talvolta un po’ “strane”». A partire dal padre che «non era malato, era la gamba ad essere malata», o come la zia Rosina «cleptomane che quando scompariva l’argenteria da tavola, noi bambini ci avvicinano di soppiatto per sfilarle le posate dalle tasche, piano piano, senza che se ne accorgesse, perché non si doveva imbarazzare». E poi il figlio maggiore George che, dopo l'insorgere della malattia, ha constatato come l'umanità sia fondamentalmente buona: «Il voler aiutare gli altri, chi chiede aiuto, è una costante. Io lo sperimento quotidianamente». Tuttavia restano i pregiudizi: «Mi accorgo che spesso l'abile ha paura del disabile, ha paura di offenderci. Ma noi siamo di scorza dura! E poi abbiamo i nostri vantaggi: voi a Disneyland fate la fila, io la salto...». «La prima sfida, per il disabile, è non nascondersi - ha detto Simonetta Agnello Hornby -. In questo viaggio abbiamo voluto capire perchè nella nostra cultura il disabile per molto tempo non è "esistito". Da Sparta, dove veniva ucciso in fasce, al Cristianesimo, quando veniva sottoposto ad esorcismo, fino al Rinascimento, dove nei dipinti e sculture i disabili non hanno posto e, se rappresentati, lo sono in modo volgare e grottesco. Ma l'umanità è buona e allora ecco che, abbandonati gli Uffizi, si scopre che il senso di comunità, quello capace di costruire un meccanismo di inclusione dei più deboli, c’è e viene da lontano: è il 1419 quando a Firenze viene istituito lo Spedale degli Innocenti, fondato per curare e allevare i bambini orfani o abbandonati e dar loro un mestiere, assistendoli fino al raggiungimento dell'indipendenza. Ecco, gli Innocenti è uno dei pochi luoghi dove le differenze sono riconosciute e assistite».
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