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24 Giugno 2018 - 09:21
Il cantautore di Carrara si esibirà domenica 8 luglio dalle 21,15 nel cortile del Castello, nel ruolo di uno degli ospiti più attesi della rassegna “Estate in Castello 2018”. Fino allo
scorso anno per molti era un illustre sconosciuto, altri invece hanno avuto l’occhio lungo. «Ma chi è questo qui che usa una ritmica vagamente anni Ottanta, scrive testi dissacranti con giochi i parole efficaci e ha un senso della melodia raffinatissimo? ». Era proprio Gabbani, e il grande pubblico ha iniziato ad accorgersi di lui al Festival di Sanremo del 2016. Partecipava con “Amen”, categoria Nuove Proposte. Ma era già più vecchio di molti “big”, come Lorenzo Fragola, o Giovanni Caccamo. Era davvero l’ultima occasione. «Il regolamento – racconta lui – voleva “scontri diretti”, uno contro uno, tra gli otto partecipanti. Io uscii sconfitto contro Miele, una cantautrice. Ma la votazione fu ripetuta per un errore tecnico, ed io passai il turno. Per poi vincere in quella categoria». Un successo bissato (e forse triplicato) l’anno dopo. La sezione era quella dei “grandi”, la prima posizione è stata confermata e il brano era “Occidentali’s Karma”, che lo ha fatto conoscere in tutta Europa e ha venduto 25mila copie nella prima settimana.
Anche l’esibizione ha fatto epoca, con un tale vestito da scimmia che accompagnava Gabbani durante la performance. Il ritornello è trascinante, la musica un pop ballabilissimo che - almeno per gli standard di Sanremo - è realmente qualcosa di nuovo. «Ma circa cinque anni fa, ero sulla soglia dei 30 - ricorda il cantante - avevo deciso di mollare il palcoscenico e di propormi soltanto come autore di canzoni per altri. Il successo arrivato con “Amen” era assolutamente inatteso, credevo che il mio sogno di adolescente di diventare una star fosse ormai un miraggio. Sono salito sul palco dell’Ariston in modo disilluso, il brano era comunque valido. La vittoria ha cambiato
tutto, non avrei mai detto che nel mondo pop, che passa ormai soltanto dai programmi televisivi, riuscisse a farcela anche uno che ha fatto la gavetta. Il mio primo gruppo si chiamava Trikobalto, mi è sempre piaciuto ascoltare musica e provare a comporla perché mio padre aveva - ed ha ancora - un negozio di strumenti musicali. Dopo due dischi ci siamo sciolti. Ho anche pubblicato un album solista prima di diventare famoso, l’ho chiamato “Greitist Iz”, in inglese storpiato. Vorrebbe dire “I più grandi successi”. Il titolo è autoironico, ma neanche più di tanto. Credo che nel primo album uno inserisca il meglio del suo repertorio fino a quel momento, anche dieci anni di lavoro. Poi diventa un disco all’anno, o qualcosa del genere. Di sicuro gli album successivi sono meno “tuoi”». Ma, nonostante questo percorso lunghissimo, condito da tanti ascolti e tante esperienze, Francesco Gabbani rivendica il suo stile personale. Niente influenze anni Ottanta, niente artisti che gli hanno cambiato la vita. Il suo è (e lo dice lui stesso) un
“pop gabbaniano”. «Non è presunzione – conclude – ma un dato di fatto, io ho sempre “colto” da tutti senza essere un fan di nessuno. Sono cresciuto negli ‘80, ho sicuramente preso degli input, ma non li ho cercati. Non c’è mai stato da parte mia un tentativo di rifarmi a questo o a quello stile. Io sono io, mischio migliaia di suggestioni. E francamente neanche mi importa di essere classificato in un genere. Chiamarlo “pop gabbaniano” magari fa ridere, ma è l’unica definizione possibile».
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