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cultura
05 Novembre 2022 - 09:40
Un frame del film "Il dono dei ghiacciai. Come le ere glaciali hanno formato l’Europa" del regista Heiko De Groot (Germania)
Si terrà questo fine settimana, a Castello Litta, la prima edizione di “Ciak si scava. Festival internazionale di cinema di archeologia Città di Gambolò”. L’iniziativa è stata organizzata dal Museo archeologico lomellino, in collaborazione con il Comune e diverse realtà come Fondazione Museo Civico di Rovereto, RAM Film Festival e la rivista Archeo. Le proiezioni, a ingresso gratuito, partiranno oggi pomeriggio (sabato), alle ore 17, e continueranno domenica mattina. In scaletta documentari che toccano varie tematiche, tra storia e attualità. Ne parliamo con il direttore del Museo archeologico lomellino, il dottor Stefano Tomiato.
QUI LA PROGRAMMAZIONE IN DETTAGLIO DEL FESTIVAL DI CINEMA
Come nasce l’idea di portare a Gambolò un festival di cinema dedicato all’archeologia?
Sul tema della cinematografia archeologica abbiamo cominciato a lavorare alcuni anni fa. Sempre con la collaborazione del Museo Civico di Rovereto, già nel 2007 e nel 2008, avevamo organizzato serate culturali con un paio di proiezioni. Nel settembre del 2008 era stata la volta di “Cinema di archeologia”, della durata di tre giorni, con 8 proiezioni. Nel 2020 avevamo avviato i contatti con Rovereto per riproporre una manifestazione di questo tipo, ma la pandemia lo ha impedito. Lo proponiamo così nel 2022, con il simpatico nome di “Ciak: si scava!”, che avevamo già utilizzato nelle serate di una quindicina di anni fa. Questa volta in una “due giorni” a base di film bellissimi da non perdere, saliti a dieci. Nell’ambito delle attività di promozione culturale, abbiamo così voluto organizzare un nuovo festival del cinema di archeologia cui invitiamo tutti i lettori a partecipare. Con i ringraziamenti a tutti coloro che in vario modo rendono possibile questa iniziativa, enti e singoli.
Quest’anno si festeggia un compleanno importante: il 50esimo della fondazione dell’Associazione Archeologica Lomellina. Ci racconta come è nata questa importante realtà culturale?
Nasce nel 1972, in un periodo in cui proliferavano in tutta Italia i club o i gruppi, appunto, archeologici. Ricordiamo, ad esempio, le origini dei celebri Gruppi Archeologici d’Italia, raccolti in una federazione nazionale. Si trattava di forme di associazionismo con l’obiettivo di tutelare e valorizzare il patrimonio archeologico del paese, in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali, attraverso le allora Soprintendenze Archeologiche regionali, anche con gli scavi archeologici e altre attività collaterali. Per spiegare il momento culturale, in quegli anni si arrivò a teorizzare addirittura il concetto di “scavo democratico”, cui “tutti” avevano il diritto di partecipare. Immaginiamo il danno che si può arrecare con un concetto del genere applicato meccanicamente, dato che l’attività archeologica, in quanto scienza di per sé distruttiva, richiede la migliore professionalità. Sicuramente questi gruppi diedero e continuano a dare un apporto notevole attraverso adeguate collaborazioni e operazioni professionali. Non si contano le meritorie opere e i progetti compiuti e che si continuano a fare. Si videro anche tutti gli estremi, dalla Sicilia alle Alpi: nei club archeologici si intrufolarono sedicenti archeologi, tombaroli, “ravanatori”, cercatori di tesori che pretendevano di giocare all’archeologo. Oppure arrivavano incompetenti che speravano di poter vedere riconosciute le loro qualità, o di poter continuare ad agire con modalità da clandestini, ma ammantate di ufficialità e così autorizzate. Dall’altra parte, a ostacolarne in ogni modo le attività, ci si misero funzionari e professionisti vari che non capivano quanto di positivo questi gruppi potevano dare, visti anche i limiti di risorse che il Ministero aveva, se confrontato con l’estensione del patrimonio archeologico di questa nazione. All’epoca, alla base della strutturazione operativa e formale dell’Associazione Archeologica Lomellina, fu una ricercatrice dell’Università Cattolica di Milano, nonchè Ispettrice onoraria della Soprintendenza per la Lomellina, allora residente a Vigevano, la professoressa Gloria Vannacci Lunazzi. Fu poi curatrice del Museo Archeologico Lomellino, con sede a Gambolò, frutto degli scavi condotti in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Lombardia.
Quali sono i progetti in cantiere?
Intendiamo continuare a proporre opportunità per tutti, dai più grandi ai più piccini (per loro sta per partire il ciclo autunnale di “Domenica in museo con mamma e papà”, con laboratori e giochi alla scoperta dell’archeologia), di approfondimento e conoscenza di temi di archeologia, storia e altro ancora. Per le questioni a lungo termine, stiamo pensando a un restyling globale del museo. Non possiamo poi nascondere che sarebbe bello poter disporre di ulteriori spazi, necessari, come indicatoci già dalla Soprintendenza, all’ampliamento del museo con la sezione medievale, dedicata proprio alla necropoli longobarda di Gambolò, recuperata nel 2018. Qui la palla è all’amministrazione comunale. Noi stiamo portando avanti con la Soprintendenza alcune operazioni preliminari. Sappiamo che i tempi in questo momento non sono dei migliori, viste le ulteriori ristrettezze contingenti degli enti locali. Speriamo che a medio termine il Comune possa affrontare un progetto, anche non enorme, ma concreto e adeguato. Non tutti hanno possibilità di questo tipo e sarebbe un vero peccato perdere questa occasione. Ma, intanto, godiamoci i film di “Ciak: si scava!”.
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