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La curiosità
26 Febbraio 2023 - 14:25
Come doveva essere triste il mondo prima del 1500: niente Cristoforo Colombo quindi niente pomodoro (e ketchup), niente polenta di mais… e niente patate fritte. Questo tubero è probabilmente originario delle Ande, in cui viene coltivato da millenni.
I primi a parlarne sono i conquistadores di ritorno in Spagna, che ne avevano portate dietro moltissime per nutrirsi durante il lungo viaggio. Non sappiamo se era un alimento già apprezzato o se veniva mangiato soltanto perché non c’era altro, ma è certo che la patata come cibo dei marinai si è diffusa subito per tutte le rotte dell’Atlantico. Si conserva a lungo con qualunque temperatura e costava poco: cosa chiedere di più ad una provvista per viaggi lunghi mesi o anche anni? Nel frattempo in Europa non era ben chiaro a cosa potessero servire le patate: i medici e i botanici (professioni che spesso coincidevano) non erano propriamente entusiasti, anche perché né Aristotele (filosofo che non sempre ci ha azzeccato) né Plinio né Virgilio ne avevano mai parlato. Inoltre, a differenza del mais, che ebbe immediato e larghissimo successo, non era possibile farvi il pane. Per i primi cinquant’anni dunque l’unica reazione che la patata poteva suscitare era la freddezza.
Fu Francis Drake, il leggendario corsaro britannico, il primo a intuire che le patate potessero essere coltivate dalle sue parti, dato che fino a quel momento, oltre al cibo dei marinai, erano diventate anche provviste dei pescatori, che le scambiavano col pesce da loro catturato.
Francis Drake è stato un corsaro, navigatore e politico inglese. Membro di spicco dei famosi Sea Dogs, fu il primo inglese a circumnavigare il globo, dal 1577 al 1580, e fu insignito del titolo di cavaliere al suo ritorno dalla regina Elisabetta I. Qui la biografia completa.
Come è accaduto per il pomodoro, lo scetticismo della popolazione fu però grandissimo: i campi erano tutti coltivati a cereali, con una rotazione delle colture ferrea ed una preparazione del terreno ad hoc. Inoltre le leggi di allora non permettevano, nei campi “aperti” (cioè non negli orti) di coltivare niente che non fosse frumento. Il motivo principale per cui circa dal 1750, nell’ordine nei Paesi Bassi, Scandinavia, Germania, Francia ed Irlanda, la patata diventò un cibo comunissimo ed occupò tutti i terreni incolti o a riposo è senza dubbio il clima: nella “piccola era glaciale”, una serie di inverni particolarmente freddi e prolungati che colpivano saltuariamente l’Europa nel XVIII secolo, spesso la patata era l’unico alimento che cresceva e la cosa spinse i governi a convertire le coltivazioni.
"Cacciatori nella neve" ("Jagers in de sneeuw", in lingua olandese) è un celeberrimo quadro del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio del 1565, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Rappresenta bene la "Piccola era glaciale": scenari gelidi ed innevati che andavano avanti per tutto l'inverno. Ora la temperatura media di febbraio in Belgio è di 4 gradi centigradi.
La patata era diventata spesso l’unica salvezza per milioni di persone e, anzi, è stata anche uno dei motori della rivoluzione industriale: nutriente, economica, poteva venire coltivata anche nei piccoli orti dietro le case degli operai. In alcuni casi, come in Irlanda, addirittura in pochi decenni divenne praticamente l’unica coltura, e sappiamo tutti cosa sarebbe successo nel 1848, quando un parassita distrusse i raccolti facendo morire di fame il 25 per cento della popolazione.
I Pogues, celebre gruppo folk-punk irlandese, ha "cantato" la tragedia della Grande carestia
La ragione per cui, invece, la patata si affermò in Italia potrebbe essere dovuta ad un vulcano. La storia, assolutamente incredibile, ha origine in Indonesia, territorio “ballerino”. Ogni tanto qualche isoletta del vastissimo arcipelago ha la cattiva abitudine di esplodere, per via di eruzioni sottomarine potentissime ed è quello che accadde nel 1815 sull’isola di Sumbawa, in cui si trovava il vulcano Tambora. “Si trovava” perché l’isola fu totalmente distrutta e la potenza dell’esplosione fu tale da oscurare il sole per qualche tempo, per colpa delle polveri scagliate in cielo: l’estate del 1816 fu un lungo autunno, piovoso e freddo e molti raccolti andarono perduti.
Gli abitanti di Taranto, per fare un esempio, raccontano di come a maggio sia scesa dal cielo neve rossa e gialla (probabilmente residui della lava e del magma). «Neve a maggio» significava carestia, in un periodo storico in cui il commercio era già in crisi e le guerre napoleoniche avevano lasciato soltanto distruzione. Tra le varie soluzioni, alcune efficienti ed altre meno, per sfamare la popolazione spiccava quella del medico pisano Francesco Chiarenti, che coltivava patate da anni nei suoi terreni: pur con tante resistenze e scetticismo, grazie al tubero misterioso proveniente dall’America, la carestia fu vinta.
Passando ai tempi contemporanei, negli ultimi anni sono cresciuti come funghi (o come patate) i chioschetti che vendono “patatine fritte olandesi”. Amsterdam ha più appeal di Bruxelles, ed è l’unico motivo plausibile, dato che il più celebre snack salato del mondo è tutto tranne che olandese.
I belgi si vantano con orgoglio che le patatine fritte siano roba loro, con ragioni più o meno valide: già nel 1680, nella zona francofona, gli abitanti quando il fiume era ghiacciato usavano tagliare le patate a forma di pesce e friggere quelle, per accontentare i bambini. Se questa è probabilmente una diceria (la povera gente non sprecava certo così tanto grasso animale) è invece accertato che dalla rivoluzione francese in poi, a Parigi si friggessero patatine: in particolare nella zona del pont neuf (“ponte nuovo”), che poi ha dato il nome ad un tipo di taglio usato in cucina. Quindi: Francia o Belgio? Impossibile saperlo, e quindi facciamo decidere ad Asterix e Obelix: nel cartone probabilmente più bello di questa serie, “Le 12 fatiche di Asterix", i due eroi devono finire una cena pantagruelica preparata da un cuoco belga, e quest’ultimo serve loro delle patatine fritte, senza però dirne il nome (per forza, eravamo nel 50 avanti Cristo!): secondo lo chef, si trattava di «radici, affettate e fritte, anche se non so ancora come chiamarle».
La sesta fatica da superare, ispirate in chiave ironica a quelle di Ercole, è proprio finire il pranzo pantagruelico preparato dal cuoco Mannekenpix
La svolta vera però si è avuta nella prima guerra mondiale: i soldati americani sul fronte belga si innamorarono subito di questo snack e decisero di portarlo a casa. Avendo però un’idea molto approssimativa di dove si trovassero, le chiamarono “french fries”, che è il nome con cui tuttora vengono conosciute negli States. La diffusione in America fu enorme, immediata, gigantesca: ma erano ancora patate tagliate più spesse di come siamo abituati ora.
L’ultima e definitiva versione “a fiammifero” si deve forse a George Crum, un cuoco di origine indiana che lavorava negli Stati Uniti: un cliente incontentabile avrebbe mandato indietro per tre volte un piatto di “french fries” e lui, indispettito, le avrebbe tagliate più sottili possibile nonché fatte diventare talmente croccanti da non poter più essere mangiate con la forchetta. Il cliente gradì tantissimo e, in un attimo, la voce si sparse. La globalizzazione avrebbe poi fatto il resto, e non serve spiegare ora quanto siano importanti, conosciute e celebrate le “patatine fritte”.
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