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La band
18 Ottobre 2025 - 14:46
I nostalgici degli anni Ottanta, quelli eleganti dei paninari e dei soldi da spendere e della spensieratezza, potrebbero immaginarli così, con gli occhiali da sole fluorescenti e i sintetizzatori a palla. Poi invece quando si parla con loro si scopre questo terzetto di giovani uomini intellettuali ed eruditi. Puntare sulla new wave nel 2025 può essere azzardato, ma a ben vedere non lo è quando comporre musica rimane e sarà sempre pura passione. È bello ascoltare i Seithan Probably, complesso di stanza tra Vigevano e l’Abbiatense. Per ora ci sono una manciata di singoli, come “Endless life (I’m still alive)” o “Hymn for the healing”. Ne arriveranno altri, e presto ci si esibirà anche dal vivo.
Sentendo i brani si torna indietro nel tempo, nelle atmosfere avvolgenti, sospese e sottilmente disperate dei Tears for Fears o dei New Order più angosciosi, ma con meno barocco. Sembra impossibile pensare di apprezzarli al meglio al mattino presto: questi sono viaggi al termine della notte, quando ad accompagnare ci sono soltanto i lampioni della statale e una meta indefinita.
La decisione di unire progetti e sogni nasce infatti da una tragedia, l’amico che non c’è più a cui è dedicato tutto, nome della band compreso: era quello della sua squadra del Fantacalcio. Loro sono Riccardo Carissimi (37 anni, voce), Fabio Michelon (41, tastiere e synth) e Fabio Fausto Corradi. Batterista, ha 33 anni. Sono cresciuti insieme. Come si può notare, non c’è il chitarrista né il bassista. Questa è musica elettronica, punto e basta, con l’anomalia del batterista “punkettone”, come influenze. «I testi delle nostre canzoni - spiegano i ragazzi, e si vede l’amore che provano per ciò che propongono - vogliono sempre essere i più “ecumenici” possibili, vogliono partire da esperienze di vita personali potendo però essere accessibili a tutti e in cui chiunque possa immedesimarsi. Per noi la canzone pop deve essere così: deve essere diretta, universale e naturalmente orecchiabile. Il tutto, però, senza sacrificare la ricerca musicale e la cura del dettaglio sonoro». «Fare synth pop – chiariscono – oggi non è folle, ma è senz’altro un atto d’amore più che di coraggio. L’epoca musicale in cui viviamo è piena di sonorità “fast listen”, cioè veloci, usa e getta, e dedicarsi ad un genere così settoriale può sembrare un salto all’indietro. Il nostro intento però è quello di strizzare l’occhio al passato per dire qualcosa nel presente. Il synth pop per noi non è solo “nostalgia” ma è matematica, è estetica, è emozione digitale. Consapevoli che non stiamo inventando niente di nuovo, vogliamo però recuperare i beat degli anni 80 per contaminarli e destrutturarli. E questo cerchiamo di farlo con la massima autenticità possibile e, soprattutto, con l’urgenza di dire qualcosa». Scrivono canzoni e che hanno il desiderio di farsi conoscere e, soprattutto, proporre musica dal vivo. La passione c’è, il talento anche.
Intanto scorre la musica, incalzante. La voce di Carissimi vorrebbe imitare con rispetto, o forse no, Ian Curtis dei Joy Division o Garbo o i Diaframma o altri numi tutelari di quel genere irripetibile, o forse nessuna di esse. Magari ha solo l’intento di esprimere questa angoscia controllata ma sincera, profondissima, con lo stile elegante di un’altra dimensione.
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