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Vigevano
28 Novembre 2022 - 22:33
È passato più di un anno dalla tragedia. Non solo il dolore non è sopito, ma il fratello del morto cerca ancora i soccorritori. Le persone che hanno accudito il quarantasettenne stramazzato al suolo nel parco del Ticino. C'è di più: forse i soccorsi sarebbero potuti arrivare prima.
Parla Francesco Padovan. Suo fratello maggiore, Marco, il 20 novembre 2021 aveva perso la vita mentre faceva jogging nel parco del Ticino, in un’area remota non lontano dal fiume, nei sentieri tra i Ronchi e la cascina Portalupa. Aveva 47 anni, viveva a Belgioioso. Era un uomo in buona salute, allenato, si faceva visitare spesso ed era abituato alle corse solitarie in quel dedalo di sentieri dalla natura rigogliosa, ma impervi e isolati.
Marco Padovan
Poco dopo essersi accasciato, molto probabilmente per un’aritmia cardiaca, è arrivato un soccorritore. Si trattava di un pilota di aerei britannico, che vive a Londra: era atterrato a Milano ed aveva approfittato della giornata libera per andare anche lui a passare un freddissimo sabato pomeriggio a pedalare nei boschi. Ha trovato Padovan a terra ancora col telefonino in mano, come se nell’ultimo barlume di lucidità cercasse disperatamente di chiamare aiuto. Proprio il pilota ha composto il 112, ma la conversazione con l’operatore dall’altra parte della cornetta è durata svariati minuti. Forse molto tempo più del necessario. Il telefono prendeva male: la linea incerta non ha aiutato. “Ho parlato con questo soccorritore improvvisato – racconta Francesco Padovan, il fratello minore – e mi ha riferito che era impossibile comunicare in modo adeguato, perché chi ha risposto non spiccicava mezza parola d’inglese. Ha provato a fare qualcosa, a prestare un primo soccorso, ma il battito cardiaco era passato da 160 a zero in pochissimo tempo. Dopo alcuni minuti al telefono finalmente gli hanno passato qualcuno in grado di comprendere la sua lingua. I soccorsi sono arrivati, dopo, con un veicolo adeguato per i sentieri: cosa sarebbe cambiato con maggiore tempestività? Molto probabilmente nulla, ma io me lo chiedo e vorrei capire come andrebbe in futuro se accadesse a qualcun altro. Gli operatori che rispondono al telefono l’inglese devono saperlo, punto e basta”. Il pilota è andato via poco dopo aver telefonato. Doveva rientrare. Due ciclisti che passavano di lì hanno accudito Marco Padovan e parlato al telefono (in italiano) con gli operatori fino all’arrivo dell’ambulanza e del personale medico. Non c’era più niente da fare.
Qui è morto Padovan
“Sono riuscito a ritrovare il pilota in modo fortunoso – prosegue il fratello – ma ancora non ho notizia degli altri due uomini che lo hanno accudito. Io e i miei genitori li stiamo cercando sui social, ma non è semplice. Il caso è stato archiviato perché è evidente che il malore sia avvenuto per cause naturali. Tramite il nostro avvocato abbiamo fatto una richiesta alla Procura della Repubblica di Pavia: i tempi sono biblici, e infatti è già passato un anno. Abbiamo i verbali del medico e dei carabinieri, ma non riusciamo a reperire le copie dei documenti di identità delle persone testimoni del fatto. Vorremmo ritrovarle, contattarle, parlare con loro, ringraziarle, chiedere più dettagli possibili riguardo a quella giornata terribile. Rimane per noi il rammarico di questi soccorsi a nostro parere un po’ tardivi. La zona è campagna pura, d’accordo: sentieri, strade sterrate, e quindi il cellulare prende molto a fatica. Rimane il tarlo: se il pilota, primo a soccorrerlo, fosse stato italiano, sarebbe cambiato qualcosa?”.
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